F I N I S H E R …
Siamo nel primo 10 percentile, 33° su 369, comunque a tre ore e venti (N.B.) da chi vince!
Titolo: Una Trans D’Havet di tipo 1
Sottotitolo: “Dai che arriviamo assieme” … ‘sti cazzi!
testo di Cristian Agnoli, #ditipo 1, VR
Decisione last minute, e per 80 euri, mi iscrivo alla Trans d’Havet edizione 2018.
80km e 5500 tra Piccole Dolomiti vicentine e sentieri della Grande Guerra.
Quest’anno avevo messo in conto di non fare competizioni, ad esclusione della Swisspeaking 2018 e di dedicarmi ESCLUSIVAMENTE a lunghi in autogestione.
Ma dopo i cinque giorni passati sui Pirenei (250km e 14000d+) ai primi di luglio, sinceramente, non avevo voglia, così a breve, di farmi un lungo in solitaria.
Ho preferito mettere un pettorale, riabituarmi all’atmosfera elettrizzante della griglia di partenza e vedere se le ottime sensazioni delle ultime settimane trovavano conferma in ambito competitivo (e se due settimane sono sufficienti per recuperare da un “gigatrail” fai-da-te).
Non tanto a livello prestazionale, valgo quello che valgo, ma perchè avvertivo confidenza e capacità di gestione di fatica, strategia e terreno montano ai miei massimi storici.
Rinnovo dunque in fretta e furia il certificato medico: altri 80 euri perchè io vado ai centri di superdiagnostica dove ti fanno le pulci e se hai il diabete di tipo 1 e trovi la dottoressa con la scopa nel culo ti guarda sospettosa anche se sei cliente da 10 anni, hai un curriculum immacolato e una conoscenza opensource della patologia, la glicata a 6.9, le analisi fresche fresche con tutti i principali parametri a posto, vista 11/10, la pressione 70/110 e ti deve far spingere a 350 W per far salire le frequenze un po’.
Riverifico la logistica, in modo che sia compatibile con check-in/check out già confermati, visite famiglia e altri impegni. Incredibile ma vero, venerdì su sabato posso farcela.
E la TdH parte a mezzanotte di venerdì e per metà pomeriggio del sabato la chiudo e in serata sera sono a casa. Domenica fresco come un rosa per accogliere i clienti teutonici.
La TdH è una gara che ho già disputato due volte: nel 2012 mi sono ritirato al km 42 [LINK REPORT 2012], nel 2013 ho finito trascinandomi al traguardo in più di 17 ore … una vergogna! [LINK REPORT 2013]
Quindi non avevo bei ricordi, e nemmeno amo particolarmente il percorso, bellissimo nella parte centrale, ma con quegli ultimi interminabili chilometri in discesa in uno scenario decisamente poco trail (la piana di Valdagno).
Comunque era l’unica soluzione vicino a casa, il conto in sospeso motivante, Il tracciato tecnico e difficile, l’umore e lo stato di forma buono. Perchè non provarci!
Ad un amico che via whatsapp mi faceva “in bocca al lupo” e raccomandava attenzione al meteo, rispondevo: “voglio vento e pioggia”.
E sono stato accontentato. Primo acquazzone già in griglia di partenza, con conseguente spostamento di 15 minuti della partenza.
Direzione corsa con le palle d’acciaio: bravissimi ed efficientissimi in queste situazioni con previsioni meteo catastrofiche. Necessari lievi cambi di percorso: alla fine 100 mt di dislivello in meno, ma uno due chilometri in più di sviluppo. Diciamo forse 10 minuti più veloce.
Al via spiove e decido di partire in pantaloncini e canotta. Praticamente il 99% indossava l’antipioggia.
Risultato: dopo 10 minuti tutti in fila nel bosco a spogliarsi. Io no 🙂
Come calzatura le collaudate Hoka Mafate Speed 2: comoda, grande trazione, grande grip. Costa cara e dura poco, ma al momento è la mia prima scelta per le “ultra”.
E’ vero che quest’anno sono affetto da acquisto compulsivo di calzature da trail e dunque ho un parco scarpe pressochè infinito.
00:15, partenza annunciata da speaker insopportabile, almeno per me. Eppure lo chiamano dappertutto!
Prima salita, 1000d+, sul Monte Summano, corribile, dunque da prendere piano per non fare fuori giri subito perchè viene facile. Nel dubbio rallenta e occhio al cardio: mai superare i 150 bpm.
Seconda salita: al monte Novegno. 800/900d+ circa. Prima intensa scarica temporalesca con lampi e tuoni. Su il goretex.
Discesa veloce che ben interpreto con precisione e scorrevolezza.
Altra salita, breve ma nervosa, nei boschi del Monte Alba. E qui si scatena l’inferno. Dalle 3 di notte un’ora buona di grandine, pioggia torrenziale, vento, alberi abbattuti.
Qualche concorrente spaventato per gli alberi caduti a pochi metri.
Facciamo gruppo e ci aiutiamo nel trovare il percorso.
Visibilità zero e i chicchi di grandine che ci sbattono sul grugno.
Sto incredibilmente bene, il goretex tiene, umido ma caldo.
Sono ben alimentato, il corpo è termoregolato. Mi sento in forza.
Chi si ferma è perduto, e se ti fermi ti raffreddi e ti devi cambiare da capo a piedi.
E io non mi voglio giocare i capi di scorta dopo tre ore di gara.
Arrivo al ristoro di Xomo in meno di quattro ore. Comincio a pensare che sto andando forte (tutto è relativo ovviamente!).
Nelle mie proiezioni pensavo a non meno di 5 ore.
Qui non ci sono bevande calde. Dunque acqua nelle borracce, un bel bicchiere di acqua frizzante e un sorso di coca-cola. Un grazie ai volontari e via.
Sono momentaneamente solo. Avvisto avanti delle luci. Decido di fare una piccola accelerazione per unirmi a un gruppetto con cui affrontare l’impegnativa salita delle 52 gallerie, notoriamente facile ai fulmini e alle frane e quindi con queste condizioni, meglio stare in compagnia, anche se sono quasi “esaltato” da questa situazione estrema e trovo energie insperate.
Agganciato il gruppetto, procedo inizialmente regolare e approfitto per integrare.
Ogni tanto però faccio il minchione con qualche strappetto. Continuo a ripetermi “nel dubbio rallenta” ma ogni volta che guardo la VAM vedo che sto salendo troppo forte e riesco a fatica a trattenermi.
Insomma ho dato un paio di accelerazioni inutili… prima o poi la gara mi presenterà il conto!
Ci sono i cattivi ricordi delle precedenti partecipazioni, con la crisi, le nausee. E un po’ ho paura di ricaderci.
Nel mentre, la pioggia cala, i lampi si allontanano e il cielo un po’ si apre. L’alba si avvicina e ci rincuora.
A metà salita mollo un po’, mi godo il panorama, mangio ora qualcosa di solido. I miei panini al latte con crema Novi sono buonissimi e me li godo tutti. Altro che i gel!
Approfitto della temporanea compagnia del concorrente Matteo per scambiare quattro parole: lo ascolto attentamente. Conosce percorso, varianti e tempistiche alla perfezione.
In discesa parto piano, ma poi le gambe si sciolgono e arrivo brillantissimo al ristoro di Pian delle Fugazze poco dopo le 6.
Comincio a fare le solite inutili proiezioni e considerazioni. Le prime servono a illuderti, le seconde a metterti dubbi.
Quindi spengo la testa e mi godo un bel piatto di minestra.
W i volontari, saluti a qualche amico casualmente in zona, e riparto.
Prima delle 6.20 ho già attaccato la salita del Cornetto. Breve ma ripida.
Non forzo, salgo con VAM 700/800, che considero buona su queste distanze.
I volontari, sempre fantastici, ci salutano e ci ringraziano perchè finalmente abbiamo portato un po’ di sole. Ma proprio poco poco.
Da dietro un trio sgranato di atleti rinviene vigoroso e vengo raggiunto prima di arrivare al ristoro di Campogrosso.
Qui provo a stare con loro… mi dico: se li tengo, mi portano all’arrivo sotto le 13 ore.
Riesco a stare con loro a tira e molla nel tratto più facile dell’ascesa al Carega, ma dove inizia il pezzo duro devo mollare.
Pur essendo ok di testa e di sensazioni, le gambe sono dure, le ginocchia incriccate e fatico a rilanciare.
In particolare la mia gamba sx, quella infortunata e più debole, mi dà problemi quando serve trazione o bisogna scavallare grossi massi.
Assumo dunque una strategia conservativa.
E’ l’unica salita che ho subito, nel senso che non ho deciso io il ritmo, ma ho dovuto adeguarmi, o meglio, trascinarmi.
Un po’ dispiaciuto nel vedere gli altri scapparmi via, ma soprattutto nel NON godere del piacere che guadagnare dislivello su terreni ostici e ripidi provoca nell’appassionato trail runner.
Alla vetta alla vetta, sì, ma senza gioia, solo con la voglia che arrivi il più presto possibile.
Scollinato sopra i 2000 metri di Bocchetta Fondi, altri interminabili 200 metri di dislivello, dove però mi riprendo un po’.
Nonostante i banchi di nebbia e il forte vento sommitale, resto in canotta. Sintomo che sto bene. Termoregolazione perfetta.
Delizioso il tè caldo sotto il Rifugio Fraccaroli. Un saluto da lontano al Gianni Baschera, perchè il Carletto è in ferie, e giù.
Vengo recuperato da una concorrente (Francesca Menti, ndr) e nella breve discesa al rifugio Scalorbi le lascio finalmente strada (anche perchè me l’ha chiesta con piglio deciso! W le donne decise!): le ginocchia incriccate non mi consentono di destreggiarmi come la testa vorrebbe. Dunque bisogna prendere atto della situazione.
Ristoro fantastico con l’imbarazzo della scelta. Minestra ottima. Umore buono. Magari le gambe la pensassero allo stesso modo.
Poi mi concedo una diesel, bevanda teutonica metà coca e metà birra. Vi assicuro buonissima, soprattutto perchè toglie quel gusto eccessivamente dolciastro della miracolosa bibita zuccherina della multinazionale americana.
Il grosso del dislivello è fatto. Mancano meno di trenta chilometri di su e giù misti a discesa. Sono quelli che temo di più, perchè qui per arrivare in fretta, bisogna averne ancora e soprattutto avere fiato e voglia di far girare le gambe e … correre.
Ci riesco fino a un certo punto, ma non abbastanza per seguire la concorrente che mi ha appena superato.
Sono tre ore lunghissime, dove soffro un po’ (ma come si può pensare di non soffrire in un ultra ….)
In salita cammino, ma in pianura e discesa riesco ancora a corricchiare discretamente.
Per un attimo spero di riuscire a stare sotto le 13 ore, ma la discesa da Cima Manara è molto tecnica e le ginocchia incriccate mi impediscono di esprime le velocità discensionali necessarie.
Poi sono in deciso calo, e vado veramente piano. Perdo altre posizioni. Da dietro, invece, arriva gente che sembra resuscitata. Soffro in silenzio, ma non dispero. Prima o poi arrivo.
Per fortuna le nuvole coprono il sole e i temporali notturni hanno lievemente abbassato le temperature. Sennò questo finale ammazza. Non si scende mai di quota, e le stradelle sono dei mangia e bevi continui.
E i chilometri sempre più di quelli dichiarati, ma soprattutto di quelli registrati dal mio Garmin Epix.
Negli ultimi chilometri mi supero e risupero con un concorrente, con cui alla fine ci diciamo: “Dai arriviamo insieme”.
Ma lui poi scatta ogni volta in avanti, poi scoppia e si fa riprendere.
A 1 km dalla fine vengo raggiunto da Davide, promettente trailrunner (con poca esperienza ma tanto motore) e senza dirci niente, andiamo al traguardo assieme.
A 100 metri dall’arrivo veniamo raggiunti di nuovo dal concorrente scattoso che per l’ennesima volta mi dice “dai che arriviamo insieme” e poi scatta come un matto nei cinquanta metri finali e taglia il traguardo in stato di esaltazione come avesse vinto i campionati mondiali (se volete sapere il nome, è quello arrivato 31°)
Con Davide procediamo del nostro passo, ci stringiamo la mano e passiamo sotto l’arco assieme.
Ci guardiamo in faccia e non c’è bisogno di aggiungere altro sullo storditismo nel mondo del Trail.
13 ore e 9 minuti, 32° lui, 33° io su 369 partiti, a tre ore e venti dal vincitore assoluto!
Una bella radler, navetta gratuita fino al palasport, doccia bollente, cambio d’abiti e pasta party.
Soddisfatto, soprattutto se penso ai precedenti a questa gara. Quattro ore in meno e cinque anni in più.
Anche se non bisogna accontentarsi mai.
Faccio troppe poche gare per capire quanto e come posso sopportare cambi di ritmo e accelerazioni su questo tipo di distanze.
Mi studio tanto in allenamento, ma la gara è un’altra cosa.
Un po’ ho rischiato, insomma ci ho provato ad andare più forte di ogni mia più rosea previsione. E un po’ ho pagato, ma portando comunque a casa una prova di sostanza e un crono di spessore.
Ecco, adesso, in ottica Swisspeaking, devo cambiare registro.
Su una prova di 360km e 27000d+ non c’è spazio per fare le “sparatine” … lì solo e sempre, e per davvero “nel dubbio rallenta”!

#metabolicamente (#soloperaddettiailavori]
Ashtag metabolicamente … grazie al sensore, e al suo software, usato in combinato disposto con la app per il telefonino, sono riuscito a creare questo grafico dove ci sono tutti gli elementi per fotografare la situazione dal punto di vista metabolico.
Giusto un paio di considerazioni:
1. la media glicemica del giorno della gara, 120 mg/dl, indica che anche con diabete di tipo 1, in terapia multiniettiva, con 16 ui di basale è possibile gestire glicemie quasi “normali” in una prova di endurance “estremo” della durata di 13 ore in ottica “massimizzazione della performance”, time in range mg/dl 70-180 per il 78% del tempo con solo il 2% sotto il 70 (e vi assicuro che era un 70 piatto peraltro ripreso con integrazioni puntuali) e il 20% sopra 180 (un unico picco passeggero a 283 mg/dl al via!) assumendo un totale di 500 gr di carboidrati tutti memorizzati in testa, ovvero 38 grammi pro ora e 0,55 gr pro ora pro kg, in linea dunque con quanto suggerito dalla fisiologia dell’esercizio. Ovvio che bisogna applicarsi, impegnarsi. Fare cose complesse non significa fare cose anormali.
PS: Sono stato un po’ “borderline” in alcune fasi (sempre dando per scontato che i dati del sensore siano affidabili), ma pur studiandomi molto in allenamento, non avevo riferimenti a breve termine su prove lunghe tirate ovvero alla ricerca della massimizzazione della prestazione.
Stimavo di dover integrare di più, ma forse non l’ho fatto abbastanza. Comunque il calo prestazionale è da imputare, a mio avviso, esclusivamente all’esaurimento muscolare. Lo dimostra il buon recupero post gara. Stanchezza da privazione da sonno a parte, nelle ore e nei giorni successivi (ovvero ora) mi sento bene e pimpante e lunedì 23 sono tornato ad allenarmi, in bici, con 55 km a quasi 30 di media in “scioltezza” 🙂 … per uno che non pedalava da quasi tre mesi niente male dai! 🙂
2. la maggior sensibilità all’insulina nel post-exercise esiste e lo dimostra il mio rapporto insulina nel pasto dopo gara passato da 1:11 a 1:18/20 e la curva piatta delle glicemie fino alle h 20. Però finisce tutto lì. A cena bolo standard, basale standard e a letto senza paura di finire in ipo.
3. Integratori: ho alternato gel, beveroni e cibi solidi, sfruttando scorte personali e ristori puntuali.
Liquidi e gel sono fantastici, ma per tutte queste ore ogni tanto bisogna mettere nello stomaco anche qualcosa di più palatabile: w le minestrine, w il tè caldo, i crackers e i cubetti di grana. Sempre con moderazione.
Alimentarsi secondo quanto suggeriscono i preparatori comunque è un lavoro complicato, nel senso che ti devi impegnare perchè altrimenti te ne dimentichi. Chi deve considerare il fattore “diabete di tipo 1” ci deve prestare più attenzione giocoforza, ma che i carboidrati sono la principale fonte energetica negli sport di endurance è una dato di fatto inoppugnabile e sono sicuro che se ci fosse un atleta non diabetico che realmente mi dice quello che ha mangiato e bevuto arriverebbe anche lui a 500 gr di cho o giù di lì.
Un esempio: ad ogni ristoro minimo si bevono 2 bicchieri di coca o succo o fanta (o altro assimilabile per contenuto di zuccheri a lento o veloce rilascio) che vuol dire minimo 40 gr di cho. Moltiplicato per 7 ristori sono solo lì 280 gr di cho. Mettici 3/4 gel o barrette da 20 gr di cho. E sono altri 80. Ai ristori poi tra frutta, uvetta, crackers, pane, minestrina, grissini e non si sa cos’altro si ingurgita a propria insaputa … almeno altri 100 gr di cho. E siamo a 480. E non ho timore di essere smentito.
Al pasta party alcuni commensali-conoscenti-trailrunner facevano i saputelli e i tuttologi dell’alimentazione, ma ho capito che non sanno un caxxo: a parte non distinguere proteine da carboidrati, poi ti fanno il predicozzo sul fatto che la pasta di farina 00 raffinata sono tutti zuccheri e fa male e tu che hai il diabete non puoi mangiarla: solo pasta integrale vero?
E parlo di gente laureata, professionisti della Verona bene. Quanto siamo ignoranti: “la nostra ignoranza è tantissima, sempre maggiore di quanto pensiamo”. E fanno i maestrini della buona salute.
Poi gli ho chiesto come hanno integrato in gara. E non lo sanno. Vanno a caso, confondono l’apporto calorico con il carico glicemico.
Alla fine la sfangano, per carità, ma almeno non farmi la lectio magistralis sull’integrazione nello sport e l’indice glicemico. Non sapete un cazzo!
Anch’io ho studiato diritto, ma non faccio la lezioncina a un avvocato sulla riforma del codice penale o il vademecun per la stesura di un atto di compravendita a un notaio. Sempre senza rancore e con tutto il rispetto dovuto. W i cazziatoni su internet!
Passo e chiudo!