TORX • T1 @ TOR DES GEANTS 2019 - Courmayeur>Courmayeur | 8>15 settembre 2019

TORX | TOR OF DISTINCTION

Blocco 4 – 27 giorni | 20 agosto – 8/15 settembre 2019

Tor X 2019    |    F I N I S H E R    |    117h20min    |    rank 112°

Il Grande Gioco
#TORofDistruction or #TORofDistinction?

That is the Question!

“Un farmaco è una sostanza che iniettata in un ratto produce un articolo, il Tor è una esperienza che produce … fiumi di parole”

A grande richiesta, dopo la sbornia mediatica del Tor, ecco il “race report”, faticosamente messo nero su bianco, perchè il mio viaggio alla ricerca della “distinzione” continua anche nel #dopoTor e soprattutto nello “storytelling of distinction” ….  Almeno con i giochi di parole, spero di toccare il cielo con un dito.
E di riuscire a “inquadrare” e “mettere bene a fuoco” questo mio viaggio tra i giganti.
Dura, lo so, perchè rendere interessante qualcosa di così autoreferenziale è quasi più difficile di guadagnarsi i galloni da finisher.

La mia presenza alla decima del Tor nasce con l’aggravante dello spergiuro e dello scetticismo (Tor fiera della vanità,ndr)
Infatti solo 12 mesi fa avevo dichiarato che la Swisspeaks sarebbe stato il mio “dernier Ultrà” ….
È vero che l’ho detto in francese, dunque la bugia è meno eclatante, ma poi mi ritrovo iscritto (e agguerrito) con tanto di sbrodolamento “made in diabetenolimits” sul come, quando e perché di questo mio Tor … e anche sul quanto!

A una settimana dalla conquista del titolo di FINISHER, in onorevoli 117 ore e 20 minuti (evviva, va benissimo!) non sono ancora riuscito a elaborare una valutazione lucida e disincantata, complici i postumi che mi hanno accompagnato in questo #AfterTor.
Non mi è bastata qualche oretta di riposo per “metabolizzare” il tutto: mi sono serviti giorni … e il processo di “elaborazione” è in fieri mentre scrivo queste righe.
Sono invero ancora qui a leccarmi le ferite … è la prima volta che non esco a correre o in bici così a lungo dopo un ultra.
Tibiali e testa sono ancora troppo stanchi e la lucidità va e viene a sprazzi.
Evidentemente, a parte le tre ore di euforia da giullare del post race, le fatiche e i patimenti hanno presentato il conto: ci vuole pazienza, tutto passa.

Dal Tor non ho avuto la risposta a tutte le domande che mi ero posto, o forse il Tor mi ha messo di fronte a domande di cui non conoscevo l’esistenza o, più semplicemente, al Tor non bisogna chiedere troppo.
In fondo è solo una “corsa” per montagne  … non scomodiamo i massimi sistemi per definire una primordiale attività dell’uomo: muoversi in ambienti ostili, peraltro edulcorati da basi vita, rifugi ospitali, volontari, ristori ed equipaggiamento di alto livello.

#HonestyofDistinction Giusto per essere schietto e sincero, prima cosa: di certo avrei voluto di più da un punto di vista strettamente “cronometrico”, anche solo per km e d+ macinati in questi mesi, così come da proclami pre-gara qui ben circostanziati.
Visti i problemucci vari cui sono incappato mi accontento di aver ottenuto tutto ciò finendo, come auspicato, ”in grado di intendere e volere ” e senza l’aspetto di uno “zombie”, con il mio bel distintivo da “gigante” appeso al collo (leggi “medaglia”)
Lontanissimo da quella prova di eccellenza cui ambivo (stare vicino alle 100 ore non era certo la più semplice delle tabelle di marcia….), ma comunque consapevole di aver portato a termine una prestazione “consistente”, un eufemismo per dire che ho avuto la capacità di fare di necessità virtù e adeguare ritmi, pause, strategie e tattiche alla realtà senza impuntarmi, provando sempre a ripartire e a rilanciare, ma senza perdere di vista il senso della realtà e il mio stato di efficienza #problemsolvingofdistinction
Più in generale non ho mai avuto quella bella confidenza durevole (almeno 12/14 ore di fila di piacere nel piacere) che è fondamentale in questo tipo di prove per innescare quell’effetto volano che ti porta a rotolare al traguardo.
Invece sono stati gli attriti a moltiplicarsi all’infinito e a rallentarmi subdolamente e inesorabilmente.
Per fortuna avevo sotto una base di preparazione, confidenza e conoscenza che non mi hanno mai fatto pensare di non farcela da un punto di vista prettamente atletico #trainingofDistinction (su questo sito trovate tutto e di più).
Mi sono potuto concentrare su tutto il resto (sopportazione del dolore, tattica, sonno, alimentazione) senza l’assillo del “ce la farò a superare quella salita?”.
Quei benedetti 25 colli, uno per uno, me li dovevo snocciolare, come un fartlek dilatato su tempi e dislivelli più impegnativi.

#HappynessofDistinction
La canzone in playlist al mio arrivo a Courmayeur era “Happy” di Pharrell  Williams (ovviamente me ne sono accorto solo rivedendo il video). Ce l’avete presente no? Quella che fa così: Because I’m happy … Clap along if you feel like a room without a roof… etc etc.
Ascoltate la canzoncina, canticchiatela anche con un inglese approssimativo. Uno di quei motivetti tormentone che sprizzano felicità da tutti i pori, ma se sei in  “bad mood” spacchi tutto e poi ti spari i Panthera a go-go!
Ecco, io, nonostante tutto, intòno tra me e me “bicòz àim èppy …”

Chiedetemi allora se sono felice?
No, non fatelo, perchè è una domanda senza risposta.
Oppure potrei rispondervi: chi di noi è veramente felice?
Od essere meno evasivo e dirvi in sequenza mixata:
“Sotto lo striscione sì, mentre mi affogo una coppa di gelato allo yogurt, doppio sì; mentre mi spupazzo i miei bimbi, triplo sì; quando attacchi una salita e non senti la fatica, e non capita spesso, quattro sì; dopo un sonno in base vita, nì; nei due-tre giorni dopo gara con dolori ovunque … no; dopo una settimana, abbastanza. Durante la preparazione, tantissimo; prima di partire pure. Nelle 117 ore di gara alti e bassi, ma prevalentemente di buon umore e soprattutto sempre lucido e sul pezzo. Alla passerella finale a Courmayeur du palle così.”
Insomma, giudicate voi e avanti con il grande gioco della …. lettura.

#TorAnathomy #TorofDistruction
Ricordati di santificare il Tor … e io l’ho santificato. Su questo non ci piove.
Il Tor des Géants è comunque una gara, con un regolamento e una classifica, ed è inutile ricamarci troppo sopra: il tempo non conta, è un viaggio con sé stessi, la grande famiglia del Tor, teniamoci per mano e cantiamo “I soliti” di Vasco Rossi (scelta musicale opinabile a mio modesto parere, per non parlare del mano per mano … roba da prima serata di Canale 5).
Passiamoci sopra (sospiro lunghissimo). Fa parte del gioco. Cosa non si fa per una medaglia e una maglietta!
Dal primo all’ultimo, tutti ci siamo dovuti confrontare con il tempo. Io li vedevo tutti a chiedere “che posizione sono?” e a smanettare sulle app per capire chi e quanto è davanti o dietro. E va benissimo.
Ma non facciamo come gli alpinisti che fanno i superiori e poi si tagliano la gola per una vetta conquistata presunta o meno.
I trail runner di lungo corso, un po’ come gli alpinisti, lassù sulle montagne, “si sentiranno anche più vicini a Dio, ma sono anche incalliti bugiardi”.

Organizzazione pressochè impeccabile, volontari straordinari tutti indistintamente. Al di là di quello che si può pensare dei promotori, delle polemiche varie, del business etc. I VolonTOR ci sono sempre e comunque.
Migliorabili le basi vita, soprattutto se il monte partecipanti previsto è questo e con più gare.
Chi passa nelle prima 150 posizioni sta bene, gli altri si trovano nell’inferno.
Il tracciato è stato più tosto di quanto avessi immaginato, anche se la percezione della difficoltà dipende dallo stato fisico e mentale con cui affronti certi segmenti. Non che lo avessi studiato particolarmente o mi fossi informato da fonti dirette o privilegiate. Preferendo l’effetto sorpresa. Odio provare i percorsi e le analisi su carta, per quanto approfondite, sono sempre approssimative.
A mio avviso dal 50° al 200° km si concentrano i 150 km più tecnici o difficili da interpretare.
Gli “ultimi” 130 km sono decisamente più umani, ma se ci arrivi demolito o pieno di acciacchi, risultano belli “pesi” pure quelli.
Il primo giorno freddo e neve protagonisti, anche se alla fine la coltre imbiancata mi ha esaltato e ammorbidito il fondo delle prime discese.
Il freddo è stato pungente, ma sopportabile: almeno negli orari e nei luoghi da me attraversati non ha creato problemi (leggi problemi di vista, mani congelate, bronchiti etc.) anche se ho avuto tosse e catarro per le prime 70/80 ore di gara (le camerate erano un rave di russatori e tossitori compulsivi).
Un po’ di attenzione nello scollinare ai 3300 metri del Col du Loson, gli ultimi 200 metri d+ erano con neve al limite dei ramponi. C’è chi li ha messi. Io no.
Salite lunghe e soprattutto discese tecniche e interminabili che hanno messo a dura prova la tenuta di tendini e articolazioni (mannaggia!).
Pioggia poca, anche se io ho beccato proprio 3/4 ore di acquazzoni battenti in uno dei tratti più tecnici ovvero dal rifugio Barma al Col della Vecchia, dove giocoforza si doveva muoversi con molta cautela su sassi viscidi e terreno fangoso. Ritmi rallentati e tante energie mentali impiegate (e cambio scarpe obbligato … puzzavano di merda di vacca, fradice, inasciugabili, inmettibili senza un assistente pronto a lavarle, asciugarle e fartele ritrovare alla successiva base ….)
Per il resto temperature perfette, cielo terso, stellate e luna piena. Cosa chiedere di più?
La principale difficoltà di questa prova è stato trovare il giusto livello di concentrazione senza pensare a chi è davanti o dietro.
Si chiama “pace nel cuore”. Ci ho messo un bel po’. Quasi 24 ore. Quando ci sono finalmente riuscito, però, sono iniziati i problemi fisici.
#PainOfDistinction … Dalla “pace nel cuore” al “gioco del dottore”. Eh già.  Ho sempre odiato il meme degli anni 80 “No pain No Gain”,  ma mai slogan fu più appropriato per descrivere questo mio TorX.
E probabilmente anche quello di tanti altri, arrivati anche prima di me, forse anche con più sofferenza. A me è bastato così. Praticamente ho passato dai 30 ai 45 minuti ad ogni Base Vita a farmi curare ginocchio, dita dei piedi, botte agli alluci e … tibiale: senza le loro attenzioni non sarei arrivato in fondo.
Gli acciacchi fisici che mi hanno accompagnato, diciamo, dal 95° km in poi quasi senza soluzione di continuità, hanno sicuramente condizionato la mia prova, ma fanno parte del Grande Gioco, anche se sono quegli imprevisti che vorresti pescare solo quando giochi a Monopoli.
Fino al Loson solo un po’ di male agli alluci per qualche sasso in discesa e lo sfregamento contro la punta delle mie Altra Running Olympus, forse non troppo ben testate sulle lunghe discese. Ma un bel cerottone sugli alluci applicato con maestria dallo staff medico e cambio scarpe (passaggio a Evo Mafate un numero in più) ha risolto il tutto.


Problemi invece al ginocchio sinistro, tamponato con taping. Qui va a fortuna. A Cogne applicato da mani esperte mi ha aiutato, a Donnas da mani meno esperte non è servito a niente e mi si è gonfiato il ginocchio come un melone.
Per fortuna a Gressoney un fisioterapista aggressivo mi ha trattato con decisione e soprattutto applicato un taping a regola d’arte. In combinato disposto con 2 sinflex il dolore è scomparso in prossimità della base vita di Valtournenche (dopo 240 km!).
E adesso non mugugnate che ho abusato di FANS … questa è robetta. Non è terapia del dolore, è omeopatia!
Tuttavia solo un paio di ore di tregua e poi ha ceduto, per compensazione, il tibiale destro che, peraltro, non ho potuto trattare fino alla successiva base vita di Ollemont k 287 (a parte una tachipirina 500 a Oyace e una blanda fasciatura).
Qui santo Pavlov ha rimediato con una bendatura semirigida che, pur impedendomi il completo movimento dell’avampiede, attenuava il dolore ( … per fortuna perchè già così ….) e ci ha messo la firma su: “Con questo vai a Courmayeur” – precisando – “ma scordati di correre!”
Nel frattempo lo staff medico era tutto attorno a me e ai miei bambini curiosi, come una grande e allegra famiglia. Hanno regalato un taping a forma di cuore a Cherubina e uno di T-Rex a Beniamino, senza smettere di prendersi cura amorevolmente delle dita dei miei piedi, medicando e curando vesciche e lacerazioni al meglio (che peraltro mi hanno dato problemi solo nelle ultime ⅔ ore di gara, complice anche la mia diminuita pazienza nel sopportare il dolore dopo tutte queste ore di problemi su problemi).

#Dad of Distinction non so se la partecipazione a un gigatrail sia compatibile con la distinzione nel campo della genitorialità. Credo di no, a meno di non avere al tuo fianco una compagna come Monica. Direi qui più #Mom of Distinction e in generale #familyofDistinction con Beniamino e Cherubina fondamentali nei pochi punti dove li ho incrociati (Ollemont, Champillon, Bosses, Courmayeur).

#Bag of Distinction … La to do list scritta con pennarello indelebile sull’esterno della sacca ha suscitato la curiosità dei tanti Volontari alle basi vita. Piccola soddisfazione con tanto di foto sulla pagina instagram ufficiale del TordesGeants.

#GroupiesofDistinction … grazie a tutti i miei follower, soprattutto sul posto, ma anche da casa. La vera prova d’amore però è quella di leggersi questo “racconto” infinito … i “mi piace” e derivati sui social è roba troppo facile. E non prendetevala troppo se sminuisco un po’ l’importanza di essere finisher al Tor … chi mi segue sa che lo scrivo da tempi non sospetti.

#VTRofDistinction … complimenti ai miei compagni di viaggio Albino, Andrea, Daniele e Davide tutti i finisher a questo Tor e un pensiero speciale a chi si è dovuto arrendere prima, in particolare a Monica G. cui mando un abbraccione grandissimo.
Pensare di ripartire da uno stop al km 287 è dura, ma non sono così convinto che la “cocciuta” del gruppo non ci riproverà …

#CoglionazzoOfDistinction
Se devo riconoscermi un po’ di sana e sincera “distinzione” questa consiste nel non aver mai perso la “speranza” e aver creduto (quasi)  fino alla fine nella possibilità di rilanciare e cambiare passo appena risolti i guai. Il tempo passava inesorabilmente, le basi vita e i colli si susseguivano.
Dentro di me credevo nel piccolo miracolo, la resurrezione, un po’ come il riscatto alla Fantozzi nella memorabile partita di biliardo contro l’On.Cav. Conte Diego Catellani:
“Avanti su, tiri! Tiri coglionazzo, su Tiri…Il suo è culo, la mia è classe, caro coglionazzo”.
Insomma quella reazione quando “al 38° coglionazzo e a 49 a 2 di punteggio, Fantozzi incontrò di nuovo lo sguardo di sua moglie!”
La rivincita del trail runner medio sulle avversità:
E adesso rinterzo ad effetto con birillo centrale […] Calcio a cinque sponde e undici punti […] Colpo partita: triplo filotto reale ritornato con pallino”
Accelerare e volare via, sopra il dolore, un po’ di “scorrevolezza”, finalmente, scannellando a dovere.
Ma il Tor non è un film, e dunque niente riscatto. Coglionazzo per sempre!
Ultimo tentativo di riscatto “fantozziano” alla base vita di Ollemont dove, fresco di medicazioni e fasciatura alla tibia, sono salito al Col di Champillon come una saetta incrociando Monica e i bimbi qui giunti in fuoristrada.
Il buon Pavlov (fisioterapista) però mi aveva avvisato… “Occhio che se spingi troppo poi ti fa male”.

E così è stato. Dal colle, modalità “finisher ebbasta” con riprogrammazione di ritmo e pause per arrivare a Courmayeur in mattinata.
Un’ora di sosta a Bosses ancora in compagnia di Monica e i bimbi, poi un paio di ore di fermo al Frassati con quasi 90 minuti di sonno profondissimo.
Scollino il Malatrà quasi senza accorgermene (l’altimetro era starato) … e poi l’interminabile tratto al Bertone, dove con i tibiali a posto si poteva correre e, invece, camminata a ritmo CAI soffrendo in silenzio (qui forse qualche imprecazione a voce alta mi è partita).
Per fortuna al Bertone un cambio calze provvidenziale con medicazione dei piedi e alcuni eventi esterni mi hanno destato dal torpore. Ho assistito in 5 minuti a una caduta con ferita sanguinolenta sul viso dell’aussie Gabriel (medicato con punti) e all’arrivo dell’amico T1 Stephen England qui giunto in preda a spasmi da freddo e stanchezza.
Dopo aver aiutato i paramedici nelle cure del caso agli sfortunati, sono ripartito di slancio a valle per gli ultimi 800 mt d-.
9:20 a.m. di venerdì 13 settembre …salutato da un gran comitato di accoglienza, con il mio bel giubbino PH ancora profumato di bucato arrivo sorridente sotto lo striscione “FINISH” del centro di Courmayeur. #GiullareOfDistinction. Fine della storia!
Ah no, a Courmayeur si resta fino a domenica pomeriggio perchè c’è la cerimonia di chiusura. Inutile passerella a mio avviso. E di nuovo il mano nella mano, “I soliti” di Vasco Rossi, Silvano Gadin che oramai non ce la fa più.
Ecco la parte del Tor che mi è piaciuta meno e che mi sarei risparmiato volentieri.
Ignobile la formula “medaglia-maglietta” per tutte le competizioni. #TordesGeants e, soprattutto, #TordesGlaciers meritavano un trattamento “distintivo” che non c’è stato … anzi mi sembra che si punti all’unico evento … 30k o 450k è la stessa cosa.
Ma perchè scrivo di queste cose. Già sapevo che era così. La distinzione è dentro noi stessi …. Però non fatemi restare fino alle 3 del pomeriggio a Courmayeur per una maglietta di cotone ….
“Avanti, su, coglionazzo, ritiri! Su! Ritiri la sua maglietta da finisher, coglionazzo! E complimenti … Gigante!”

#TheImportanceofBeingFINISHER … with or without Distinction!
La voglia di distinzione è sempre viva in chi, come me, cerca saltuariamente di “deviare dalle consuetudini”, ma ora sono più consapevole di quanto sia sottile la linea che separa la distinzione dalla distruzione.
La nostra dotazione di talento è anche succube degli eventi previsti e imprevisti, in parte fisiologici quando si passano così tante ore “in giro per montagne di notte in cerca di rogne”!
Sono “finisher ebbasta”.
Ma niente #finisherofDistinction o #GiantofDistinction, titoli che meritano altri “terminatori” di questa prova, del presente e del recente passato.
Mi basta essere  un “nanerottolo tra i giganti” e un semplice e onoratissimo TOR II (eterno secondo … Francesco Maistri sempre il numero 1, The Untouchable …. bacini!)
Quando punti tutto su un obiettivo, e ti sei giurato che sarà unico e irripetibile, non vorresti cambiare “programma”, ma il Gioco prevede anche l’imprevisto e i cambi in corsa. Credo di aver fatto una bella opera di contenimento, mio malgrado, e se non avessi avuto questa “accortezza” penso ora non sarei a recriminare di “fino”, ma sarei uno dei 400 ritirati.
Invece  medaglia + maglietta le ho portate a casa!

“La distinzione non esiste ovvero esiste nella misura in cui non è vera distinzione”
Cosa voglio dire? La distinzione assoluta è quella di chi vince, quella di cui tratto io è un percorso personale, quindi aggiustato su me stesso e relativissimo.
Riguarda la capacità di essere “onesti”  e “in pace” con sé stessi nell’analizzare una prova, barcamenandosi tra distinzione, rischio distruzione, redenzione, fugaci momenti di rassegnazione, vividi sprazzi di lucidità e pragmatismo, ma, provando a fare sempre la cosa giusta.
Scrivere questo fiume di parole mi sottopone anche al giudizio dei lettori approfonditori (pochissimi per fortuna) e quindi stempera l’attorcigliamento su sé stessi e mi aiuta a capire se, alla fine della fiera, tutto questo sbattimento ha aggiunto qualcosa al mio vissuto: non dico essere una persona migliore, ma un po’ cresciuta e maturata sì.
Soprattutto continuare a essere soggetto riflessivo, pensante e …. tormentato!
Anche maciullato, magari, ma temporaneamente, per poi rifiorire e aprirsi al mondo, con alle spalle un’esperienza costruttiva al netto dei piccoli danni strutturali che l’attività di ultra endurance ci può causare.
E, aggiungo, non ritrovarmi troppo presto a dire: e adesso cosa faccio l’anno prossimo?
Ancora prima di aver “compreso” cosa ho fatto 7 giorni fa e di apprezzare il ritorno ai ritmi ordinari e agli affetti famigliari #familyofdistinction.
Subito alla ricerca di un’altra bella mazzata di fatica sennò non so dove sbattere la testa? Questo proprio no grazie! Altrimenti è meglio riparare nei bar a giocare alle slot e a comprare gratta e vinci.

Mi sono preso “tutto il tempo strettamente necessario”, per riuscire a “spremere un po’ di felicità dal frutto della fatica”, tanta e più di quella messa in conto.
Spremuta, concentrato, centrifuga, pozione … di felicità sempre si tratta, meno di quella che auspicavo, ma comunque in quantità sufficiente per farmi dire che ne è valsa la pena!

100% made in Tor X?
X come decima, ma anche come “generazione X”, quella cui appartengo, assieme a Steve Jobbs e … Ambra Angiolini e alle centinaia di milioni di persone su questo pianeta nate tra il 1960 e il 1980, forse la maggioranza tra gli iscritti al Tor des Géants.
Non so cosa c’entra, ma mi piaceva questa profilazione socio-demografica del Soggetto Ignoto aspirante finisher Tor.
X come simbolo “moltiplicatore” per eccellenza … di gioia, fatica, emozioni, pensieri. Effetto moltiplicatore di tutto, in positivo e in negativo.

X, infine, come mettiamoci una croce sopra! Sì perchè per me la pratica TOR è archiviata come unica e irripetibile.
Va bene così, con il dosaggio minimo ma sufficiente di “distinction” e lascio più che volentieri strada a nuovi e più autentici interpreti di questa disciplina.
Mettere una X sul Tor non significa non guardare avanti con fiducia e motivazione.
Vedo atleti cinquantenni di livello performare alla grande, in primis Oliviero Bosatelli vincitore di questa edizione del Tor des Geants in 72 ore (45 ore prima di me!!!!!). Di certo paragone azzardato (lui è un campione, io una mezza calzetta), ma l’evidenza di atleti maturi spesso al top è un bel segnale per chi ha scoperto di amare lo sport di fatica ben oltre gli “anta”.
E dunque avanti, ma consapevoli dei propri limiti e dei propri orizzonti!
Ragazzi in fondo si tratta solo di correre … anzi no perchè andare a 3 kmh orari non è correre, ma una passeggiata del CAI elevata a competizione 🙂

#Game of Tor o Game of Love?
Purtroppo “I did not fall in love with Tor” e questo indipendentemente dalla performance.
Non sono riuscito ad aprire il mio cuore alla montagna valdostana.
La montagna merita sempre e comunque amore e mi spiace non averne avuto a sufficienza.
Amore che fa parte del mio DNA #LoveofDistinction.
Ma questo Tor non mi ha preso dritto al cuore, un po’ per pregiudizi miei, un po’ per uno stato di alienazione … intendiamoci, non si tratta di avere un cuore di pietra, anzi.
Desideravo fortemente innamorarmi e perdere la testa per il Tor, invece non è mai veramente scattata la scintilla.
Anche se Claudia Schiffer ti invita a cena, non è detto che poi si conclude.
Eppure di ammiccamenti, preliminari e prove tecniche di amore ne ho vissuti tantissimi in queste 117 ore …

#Amore è camminare mano nella mano…
Amore è salire il col de l’Arp sotto la neve, guardarsi intorno e dirsi dentro: Cristian, questa è casa tua!
Amore è regalare una confezione di castagne bollite ad un concorrente giapponese del Tor des Glaciers,
Amore è una pacca sulla spalla mentre sali al Col de Entrelor chiedendo: “Every Thing Ok?”,
Amore è mangiare pane e nutella,
Amore è leggere la “to do list” scritta a mano sull’esterno della tua borsa alla base vita,
Amore è mangiare la polenta concia al Colle della Vecchia che non sai nemmeno come siano riusciti a portare quel gazebo lì,
Amore è succo d’arancia con acqua frizzante nella borraccia,
Amore è condividere un pacchetto di fonzies,
Amore è la regolarità intestinale,
Amore è un paio di calzini puliti,
Amore è una cheerpack da 24 grammi di Explosive al gusto lemoncola,
Amore è avere la pressione 65/120 dopo 280km di gara e per questo il medico ti autorizza a prendere una Tachipirina 500 e ti fascia pure il tibiale amorevolmente,
Amore è osservare una ragazza in crisi isterica al ristoro di Bosses e scuotere la testa rimanendo impassibile,
Amore è un volontario che ti chiama per nome,
Amore è osservare Elio che in due minuti si mangia quattro gelati alla fragola e 10 tubicini gommosi alla coca cola,
Amore è appisolarsi 2 minuti sotto un albero salendo al Col de Bruson
Amore è il sole in faccia che ti scalda dopo una notte di aria gelida
Amore è mangiare 5 orsetti gommosi
Amore è la faccia gonfia allo specchio e piacersi comunque,
Amore è farsi servire patate e arrosto di maiale dal dottor Benso,
Amore è bere un caffè espresso in tazzina all’uscita dalla base vita di Cogne,  al rifugio Alpenzu e al rifugio Tourmalin
Amore è una zuppa calda,
Amore è dormire profondamente per 30 minuti al Bivacco Clermont  (sì e no 14 metri quadri tra cucina e camerata),
Amore è scollinare a 3000 metri e trovare un bicchiere di thè caldo,
Amore è vedere l’alba dopo una notte di freddo e tosse,
Amore è uscire mentalmente sani dal labirinto di Pontboset,
Amore è non guardare chi ti precede e chi ti segue in classifica,
Amore è non aprire la app per vedere la posizione,
Amore è un piatto di ravioli seguito da una radler al ristoro di Loo,
Amore è risalire al rifugio Coda come un razzo,
Amore è scattare delle belle foto a un concorrente spagnolo anche se non ne avevi voglia,
Amore è un pezzo di pane tostato su una pietra con un po’ di prosciutto,
Amore è fare il brillantone con i massaggiaTor che speri ti facciano ripartire di slancio,
Amore è bere menthe à l’eau frizzante a un ristoro non ufficiale,
Amore è scollinare al Col di Nana e sentirsi rinascere (anche se durerà poco),
Amore è farsi medicare le vesciche e sistemare il ginocchio steso sul lettino e approfittarne per farsi una dormitina,
Amore è salire al rifugio Barmasse fresco come una rosa (anche se durerà poco),
Amore è salire senza dire una parola,
Amore è scendere senza dire una parola,
Amore è soffrire in silenzio,
Amore è un pensiero buono tra tanti pensieri cattivi,
Amore è un pezzo di pane raffermo con mocetta nel cuore della notte,
Amore è camminare mano nella mano con i tuoi bambini arrivando alla base vita di Ollemont e scimmiottare la corsa del bimbo felice,
Amore è non trovare i bastoncini perchè tuo figlio Beniamino ci sta giocando,
Amore è farsi firmare la fasciatura del tibiale fatta da Pavlov con scritto: Ci vediamo a Courmayeur!
Amore è condividere popcorn,
Amore è bere una Radler prima di ripartire,
Amore è cambiarsi d’abito prima di arrivare sotto il traguardo,
Amore è restare un nano tra i giganti,
Amore è bere un bicchiere di prosecco al traguardo senza avere le traveggole,
Amore è abbracciare i tuoi bimbi all’arrivo,
Amore è riuscire ad abbracciare la tua compagna solo dopo 10 minuti che sei arrivato, commuoverti un po’ e sussurrarle nell’orecchio che le vuoi bene e che questi giganti te li dovevi mangiare tutti a colazione ma non ci hai potuto nemmeno provare, ma che non ci proverai più!
Amore è amare la gente,
Amore è amare la gente anche dopo che hai finito il Tor,
Amore è non considerare il Tor l’assoluto,
Amore è … il mondo intero.
Il mondo intero? Sì, ed il mondo intero è molto più grande del più gigante tra i giganti!
Amore è amare tutti indistintamente. Questa è la vera distinzione!
E il Tor des Géants con tutto questo che c’azzecca?

#Type 1 of Distinction
I dati raccolti e qui pubblicati in specchietti sono esausitivi e fotografono esattamente la situazione e la mia gestione del diabete di tipo 1 da cui sono affetto dal 2005.
A chi ha voglia ed è in grado, interpretarli, valutarli ed eventualmente segnalarmi incongruenze. Non mi dilungherò troppo, lasciando a Mario Vasta, Maurizio Sudano, Andrea Benso ed eventualmente ad altri addetti i lavori che vorranno approfondire l’onore e l’onere del “parere autorevole” (…e non tiratemi il pacco, vi tengo sotto pressione anche da maciullato).
Da un punto di vista prettamente glicemico la media di 204 mg/dl nei 5 giorni scarsi di gara significa A1C 8.7. Pessimo. Euglicemia addio. Anche questo conferma che il compenso va ricercato sempre e comunque (prima e dopo soprattutto, nel durante ci si prova ma non è detto che ci si riesca, anche se su prove così lunghe sarebbe bene riuscirci). A dire il vero avevo lavorato tutta estate per essere più aggressivo e ottenere performance con una basalizzazione generosa (20 ui = 0,23 ui di basale degludec pro kg non è una basalizzazione bassa). Ovviamente bisognerebbe meglio valutare quando la produzione di ormoni controregolatori (che sono tantissimi), le condizioni ambientali, lo stato infiammatorio, la privazione del sonno, lo stravolgimento dei ritmi circadiani, e non so quali altre cause, influiscano sui profili glicemici, oltre al delicato equilibrio tra insulinizzazione, apporti di carboidrati, substrati energetici, volume e intensità di attività fisica, impegno muscolare etc su cui però sono ben preparato.
Per fortuna parto da una buona base di compenso. La glicata fatta il 3 settembre (5 gg prima del via) dice 6.8, dunque non dovrei aver rovinato troppo il mio curriculum, includendoci anche i 7/10 gg successivi a prove di questo genere quando con scompenso e fabbisogni insulinici over the top. Anche questo andrebbe studiato.
Non conosco le gestioni degli altri type 1 in gara, però le tre volte che ho incontrato Stephen England, il suo sensore segnava rispettivamente 253 e 254 e la terza volta, quando i paramedici hanno voluto misurargli la glicemia  nonostante io gli dicessi, “lasciate perdere, non è in ipoglicemia”, aveva …. 203 mg/dl. Spero non mi faccia causa per questo data disclosure non autorizzato:-)
Adesso basale a 28 ui die e rapida a fiumi, sperando di placare la fame atavica e di ritrovare un equilibrio decente tra metabolismo, controregolazioni ormonali e dosaggi insulinici.
Mi soffermo invece sul tempo nel valore stabilito o TIR (time in range) …. Lasciamo perdere il 58% (!) over 180,  e concentriamoci sul 0% sotto i 70.
Ipoglicemia, lo spauracchio di medici e diabetici tutti, dove sei finita? E, lo ribadisco, con profilo basale degludec a 20 ui mai modificato, in “sfigatissima et vituperatissima” terapia multiniettiva, qualche bel boletto correttivo o prandiale e una media cho pro ora di 22 gr di carboidrati (c’è un refuso nella formula delle tabelle pubblicate ma non avevo voglia di risalvare e ripubblicarle … scusate) pari a 0,33 pro ora pro kilo. Interessante vedere che se divido il totale dei gr di cho per i km percorsi, sono 7 gr per km. Ovvero una bustina di zucchero abbondante a km.
Sicuramente, a causa dei guai fisici, non ho mai potuto spingere a dovere, ma comunque 340km, 25000+ in 117 ore con 6 ore di sonno non sono ritmi da passeggiata del CAI e nemmeno …. causa ineluttabile  di ipoglicemia!
Casomai di …. iperglicemia. Qui andrebbero riscritti i manuali della diabetologia dello sport. O forse semplicemente non andrebbero scritti.
A ritroso, avrei dovuto essere ancora più aggressivo con un profilo basale di almeno un 10/20% maggiorato e aver prestato più attenzione, come prefissatomi, alle integrazioni quando a seguire toccava a una salita o a una discesa e al ritmo che avrei potuto sostenere. Insomma se mangi un piatto gigante di polenta concia e tre biscotti frollini senza fare bolo, almeno 60 gr di carboidrati, e poi in discesa cammini e basta perchè il ginocchio ti fa male e il terreno è fangoso e scivoloso che non riesci a stare in piedi, mica ti puoi meravigliare che dopo 2 ore sei over 300.

#FuelingofDistinction
Carboidrati e chetoni, da sempre i nemici della persona con diabete. I primi da limitare, conteggiare, calibrare se non da demonizzare, i secondi simbolo per eccellenza dello scompenso e di chetoacidosi diabetica.
Ebbene, carbs e chetoni al centro della mia strategia delle integrazioni, alla ricerca di quel #fuelingofdistinction da anteporre al #defensivefueling imperante e più in generale alla #defensivetherapy.
Carboidrati principale fonte energetica negli sport di endurance, Ketoni esteri, a patto di poterseli permettere economicamente e ove sussiste un compenso decente e soprattutto un buon livello di insulinizzazione, una nuova via energetica che non necessita di “inneschi” e che supporta muscoli e …. cervello. Anche se hai il diabete di tipo 1.
Per quanto riguarda i Carbs, ho utilizzato gel nelle fasi di raccordo tra un ristoro a un altro, soprattutto nelle prime 15/20 ore di gara, ovvero fino a quando la performance ha prevalso sulla sopravvivenza al dolore. Poi, ho sempre più sfruttato ristori e  piatti tradizionali. Lo scadere delle prestazioni ha anche peggiorato il compenso, nel senso che i miei calcoli sui consumi energetici sono andati a farsi friggere e poi la testa era tutta concentrata su altri temi. Altro che flussi energetici, metabolismo negli sport di endurance, gestione strategica delle integrazioni. Era tutto un “ahi ahi ahi!” … 🙂
Tornado al #fuelingofdistinction, siamo su frontiere inesplorate, ovviamente. Altri test sono necessari. Si tratta di suggestioni, specie in ambito di performance. Durante la preparazione ne ho beneficiato più che durante la prova regina, anche perchè gli acciacchi fisici non mi hanno permesso di provare a spingere e di sfruttare fino in fondo le mie conoscenze in termini di #fueling.
Di sicuro i chetoni esteri non fanno miracoli, ma in tutte le occasioni che li ho assunti mi hanno dato immediato beneficio a livello di concentrazione e efficienza mentale ed anche fisica.
Mentre con i carboidrati oramai vado quasi in automatico, per i chetoni ho seguito il protocollo impostato, ovvero di assumerli quasi sempre prima di ripartire per una tappa in fase notturna. Ho derogato solo l’ultima notte dove, avendo abbandonato ogni velleità di performance, e sentendomi sufficientemente lucido, ho preferito lasciare la preziosa ampolla di chetoni nello zaino.
Durante la prova ho eseguito una serie di rilevazioni di chetoni nel sangue (un paio di volte mi sono dimenticato, in concorso di reato con il dottor Benso….).
Occhio a non fare confusione: chetoni esteri come carburante, chetoni endogeni per valutare lo stato di depauperamento delle scorte energetiche e la cannibalizzazione dei muscoli.
Il range dei miei check di corpi chetonici nel sangue va da 0,1 a 0,8 … quindi entro limiti fisiologici che riguardano anche l’atleta non diabetico. Fidatevi.
Abbiamo anche effettuato una rilevazione a 1h30 dall’assunzione di chetoni esteri per capire l’innalzamento indotto del livello di chetoni. Siamo arrivati a 2.1!
Poi però, i livelli sono tornati entro i range.
Ora la domanda sorge spontanea da parte del dottor Sudano:
“Quale è il livello di insulinizzazione “giusto” che non impedisce la formazione dei chetoni “buoni”?”Risponde Cristian: “Di sicuro non le velocità basali ridicole degli atleti microinfusi … propinate dai guru delle pompe insuliniche!”
… to be continued …

DISCLAIMER: i dati aggregati e le statistiche qui pubblicate potrebbero contenere lievi refusi, che comunque non inficiano il quadro generale della situazione. Le statistiche validate e verificate assieme allo staff medico e agli addetti ai lavori saranno pubblicate più avanti nella sezione “TOR X stats & number” che trovate nel menu a fianco o più sotto a seconda della navigazione su cpu o mobile.

#Champ of Distinction?
Piccola storia del Tor des Geants e degli atleti con diabete di tipo 1. Premesso che non sono wikipedia o altra fonte attendibile: eravamo in tre TD1 a me noti di questo TdG. Oltre a me, Stephen England (USA) e il valdostano Simone M. già 2 volte finisher non chiedetemi in che anni con tempi vicini o di poco superiori alle 130 ore. Non escludo altri ci abbiano provato e con successo, ma io non ne sono a conoscenza (non che mi sia impegnato tanto nelle ricerche….)
Simone si è ritirato, ahilui, a Eaux Rousses, mentre Stephen ha concluso pochi minuti dietro di me. Quindi 2 finisher su 3 (salvo errori e omissioni) ovvero il 66%, dunque in linea con le percentuali di finisher della gara (60%). Credo non serva aggiungere altro.
Volevo finire in 100 ore, senza troppi patemi, e mi sono ritrovato quasi a farmi “sprintare” da un’altro ditipo 1 per il titolo di più veloce finisher con diabete di tipo 1 della storia… in 117 ore e 20 minuti … … ah, queste sono grandi soddisfazioni.
E voi direte, almeno quella, perchè se ti facevi pure passare, sai che pippotti…
Porto a casa dunque una vera e propria conquista dell’inutile: sono  “Champ of T1D” … tra tutti i distintivi quello di cui mi importava veramente poco, ma che l’amico t1 Stephen England, giunto 18 minuti dopo di me, continuava a sottolineare in tutte le fasi.
Non ho capito se per scherno o perché ci credeva davvero.
Comunque meglio essere arrivati davanti e così di impedire ad altri di poter fregiarsi del titolo dell’inutile (e magari abusarne ….) di  “Champ of T1D”… missione compiuta!
DNL ha chiuso i battenti, restiamo operativi come sito di racconti ed esperienze e “ispiratori” … ma vediamo di darci una mossa, perchè mi sembra che qui “mare piatto”.
#Forza Mangiarotti*, almeno tu nell’universo! (*p.s. finisher Ironman Italy in 9h18 clap clap!) #ironmanofdistinction

 

Cristian > bib number #1006

LIVETRACKING
>> http://live.tordesgeants.it/# <<

ANTEPRIMA #TORPRIME

#TOR IS HERE!
Ci siamo. Poco da aggiungere, e quello che qui aggiungo serve solo ad aumentare la “stratosfera di aria fritta” dei 190 giorni di preparazione in storytelling  e, per chi mi osserva con sospetto, riserve e mi vede come uno sbruffoncello saputello esaltato, innalza ancor più il rischio sberleffo in caso di “game over”.

E aggiungiamola un po’ di frittura all’atmosfera PRIME TOR allora…

In questi 24 giorni di avvicinamento al del Tor X, a modo mio, sono entrato nella fase del cd “tapering”, come lo chiamano i personal trainer, cioè quella diminuzione graduale dei carichi di lavoro per arrivare alla massima forma.
Ho ridotto durata e volume in favore di qualche richiamino di velocità e rapidità (e anche qui nel durante ho tolto ancora cose perchè ne avevo messo dentro sempre un po’ troppa di roba….) mantenendo una quota minima di lavori di core-stability e di elasticità per allungare muscoli e tendini induriti.
Quindi o qualità sul breve (perchè stranamento ho voglia di sentire il cuore battere veloce prima di tenerlo in Z1 per 100 ore di fila) o allenamenti lenti facili facili.
Unica uscita impegnativa medio-lunga da 4h30 sul Baldo Settentrionale a 14 giorni dal via, con sentier ostici al fine di testare l’assetto Tor e in particolare lo zaino e il materiale che ci va messo dentro (ho fatto la prova con l’equipaggiamento da condizioni meteo sfavorevoli dunque con tutto il possibile oltre al materiale obbligatorio).
Sensazioni buone, ginocchia scricchiolanti a parte, per la prima volta in questa lunga preparazione (i 2000 d- di fila in discesa questa volta si sono fatti sentire … ma ho usato calzature finite per risparmiare quelle da gara!).
Ci può stare. Meglio sul monte Baldo che al Tor.
I dubbi arrivano tutti adesso …  L’avvicinarsi del Grande Gioco causa apprensioni  e ripensamenti anche nel più navigato dei trail runner e pure io non ne sono esente.
Ripasso quello che ho fatto, con la memoria, ma anche con numeri e dati inconfutabili, e credo sia stato il massimo possibile per terreno, logistica, situazioni e atletismo:  rimane qualche errore e soprattutto la mancanza di una gita in zone alpine, ma ho compensato con le sequenze di più giorni, i bigiornalieri, la quota e i pernotti in rifugio etc.

Training session sul Monte Baldo in ambientazione invernale

Giochetti mica da scherzi e quindi mi dico: guarda al 99% delle cose fatte e non all’1% di quelle non fatte.
Mi conforta il fatto che diversamente dalle mie precedenti esperienze in modalità #gigatrail, qui la severità dei 25 colli alpini è mitigata da una organizzazione molto più presente, ristori ogni 5/12 km, che significa max 3 ore tra un aid station e l’altra, e gente ovunque, forse fin troppa.
Quindi di solitudine non dovrei soffrire, casomai di insofferenza per iperaffollamento!
Ciò detto questo non rende più difficile o più facile il Tor (25 colli sono 25 colli): lo rende solamente diverso da quello che ho portato a casa in precedenza.
Anzi per la mia “visione” e il mio “approccio” a volte la solitudine è meglio della folla.
Ma anche questa è ricerca di “distinction”, ancor più affascinante, perchè farlo in solitaria è una cosa, riuscirci nella ressa è un mezzo miracolo!
Al di là di tutto quello che può accadere (esaurimento energie, stanchezza, demotivazione, sfinimento, vesciche, dolori, infortunio) Il fattore “meteo” sarà poi fondamentale.
Se si mette male, beh, il gioco si fa duro per tutti, ma qui, ci vuole anche fortuna … un conto è un temporale beccato a 1000-1500 un conto mentre scavalli a 3000 metri … e nelle tendine della Ferrino ci stanno i volontari, giustamente!
Invero l’organizzazione è molto precisa e attenta alla “sicurezza” e per quanto posso aver capito in questi anni da spettatore esterno più o meno attento, se hanno il sospetto che la situazione si faccia difficile veramente, la gara la sospendono o modificano il percorso. Se si va avanti è perchè si può andare avanti. Poi è una questione di percezione individuale, di lucidità mentale. Nella stanchezza e nello sconforto tutto sembra insormontabile, se invece sei un minimo brillante e efficiente, affronti meglio paure e difficoltà intrinseche.
Tenere duro è anche una questione di essersi preparati il terreno di gioco per poter “resistere” , “resiliere” o “perseverare”.

estratto dal regolamento

Come sempre fare tabelle e programmi in una prova così lunga significa in primis “essere pronti a cambiare programma all’istante”, ma a mio avviso una idea di massimo bisogna averla e anche chi dice di non fare piani, in realtà un piano ce l’ha, che può essere semplicemente costituito dal tenere la testa accesa.

Potrei starmene zitto zitto e fare il “segretone”, ma siccome ho deciso di stare al gioco, ci sto fino in fondo.
Per fortuna lavoro, famiglia e altri interessi mi tengono occupato e lontano dalla “dipendenza da gioco” …
Guardando a prove simili svolte nel recente passato, ho dunque impostato un “piano di gioco” piuttosto flessibile che sperò mi consenta di finire più o meno tra le 100 (miracolo!) e le 110 ore (ecco ho dichiarato la mia forbice di tempo, contenti?) sempre salvo imprevisti, salvo meteo inclemente e/o modifiche del percorso/strategia obbligate da fattori esterni. E sempre che i chilometri siano 338 per 24.000+ o giù di lì, perchè se ne sentono di storie sui d+ e sulla lunghezza effettiva del percorso. Ma poi ogni anno quelli che vanno forte abbassano i tempi!
Credo di poter stare in quella cifra, ma ovviamente io il Tor non l’ho mai fatto e, anche se penso che non sia più difficile di una PTL o di una Swisspeaks: è una prova a sè, e i paragoni non si possono fare se non per “gioco”.
Alla fine il crono è solo uno dei parametri di valutazione.
L’altro, non meno importante, è finire in grado di intendere e volere, senza cotte colossali, senza sentirmi eroe o gigante: mi basta spremere un po’ di felicità dal frutto della fatica, ovvero essere capace di dimenticare la stanchezza e il disagio giusto dopo qualche ora di meritato riposo.
E per riuscirci, sono pronto a prendermi “tutto il tempo strettamente necessario”.

Come scrivevo a presentazione di questo interminabile “STORXtelling”:

Voglio essere “finisher of distinction” !
E’ un approccio rischioso, perchè sembri un po’ “masto” […]  Non sarà dunque un “viaggio ebbasta” ma un viaggio di distinzione. Che non significa arrivare in una tot posizione in tot tempo, ma portare a casa una prova di eccellenza,  esprimere cioè al meglio il mio potenziale atletico, mentale, umano e metabolico attuale e non finire con rimpianti per non averci provato.

Ora da qui al via, il riposo è il miglior allenamento (e forse lo sarebbe stato anche qualche giorno prima …. Santo Tapering!).
Continuo a gestire male il sonno tipo “addormentarmi sul divano”, “svegliarmi troppo presto e andare a letto troppo tardi” o “dormire scoperto e svegliarmi infreddolito e poi fare fatica a riaddormentarmi”.
Per fortuna che ci sono i pisolini pomeridiani da 15/20 minuti a salvarmi.
Avrei bisogno di fare i quattro giorni che mancano al via dormendo 8 ore filate a notte … se ci riesco, allora il gioco si farà più divertente perchè potrò svisare meglio e con più “opzioni” tra fasi di sosta, ripartenza e micro cicli di sonno.

Basta con i “giochi di parole” …  “i giochi sono fatti”: è tempo di andare alla montagna.
Portiamoci sulla linea di partenza .
G come GIOCO G come GIGATRAIL G come GIGANTE G come SERIE G …
Ah no, trasferta rigorsosamente in Iveco Massif, già quella una vera prova di resilienza:
Are you ready to play?  Tor X … I love this Game! #Tor As you Are!

Postilla G:
G anche come GROUPIES ….
Cari Groupies, credo sarete meno numerosi di quanto annunciato nei mesi precedenti, molto meno numerosi, per non dire pochissimi.
Comunque ecco alcune note che vi lascio.
Ai precedenti gigatrail cui ho partecipato, non c’era nessuno però, sul posto, perchè erano prove di nicchia, per intenditori (PTL 2016, SWISSPEAKS 2018). Un po’ come la maratona di Reggio Emilia paragonata a NY, Londra o Berlino.
So che il mito del Tor attira, ma già ci sono 1000 coglioni sul percorso + 1 supercoglione (cioè io) … e non so quanti altri coglioni accompagnatori e coglioni tifosi … quindi siete i benvenuti, ma GUAI a chi mi chiama per chiedermi dove e quando passo …. Sono cazzi vostri capirlo utilizzando le piattaforme messe a disposizione dagli organizzatori.
E soprattutto dovete essere invisibili e discreti … e rispettare il regolamento.
Dalle basi vita state lontani, impossibile entrare senza pass, e poi quando uno arriva deve pensare a come organizzarsi, il borsone, lo zaino, curarsi i piedi, chiamare i famigliari, mangiare, microsonno, già di per suo breve e talvolta difficile coricarsi specie se devi rispondere a destra e a manca.
Se venissi penalizzato per assistenza non autorizzata perchè un “diabetico del cazzo” o un “groupies del menga” non rispetta le regole di ingaggio per supportare un “diabetico del cazzo che corre il Tor” mi incazzo come una iena.
Studiate le mappe, andate sul sito www.tordesgeants.it, chiedete a chi il Tor l’ha già fatto e posizionatevi strategicamente.
Vi abbraccerò, vi saluterò, mi fermerò anche a scambiare qualche parola. Filmate tutto con i vostri smartphone per verificare che ciò che prometto farò e per testimoniare il mio stato psico-fisico.
Pubblico qui anche il mio roadbook con i tempi stimati di passaggio, che ovviamente sono da VERIFICARE sul live trail della gara e non chiamandomi al telefono (a partire dalle 24 ore precedenti il via della gara).
Vi premetto, inoltre, che in gara userò un numero diverso dal mio, noto solo agli organizzatori, alla mia compagna e a qualche aficionados rigorosamente selezionato.
Ovviamente poi leggerò e risponderò a posteriori ai messaggi delle varie chat.
Ciò precisato, siete i benvenuti e vi LOVVO tuttissimi!