LUT 2017

Cristian Did Not Finish _ 23/24 giugno 2017

Cristian @ LUT > Did Not Finish
Stop al 97k e 4800 d+ dopo circa 15 ore di gara!

Cortina D’Ampezzo … 20 minuti alla partenza!

Pappamolle #ditipo 1
Cronaca di un ritiro immotivato

testo di Cristian Agnoli, finisher mancato LUT 2017

#autoflagellazione
Definizioni di “Pappamolle”: “Persona debole e fiacca, priva di energia e di coraggio”; “Persona pigra, lenta e di carattere indolente o fisicamente fiacca”; “Persona priva di volontà, di energia, di calore umano”.
Se preferiti i sinonimi: “smidollato, pera cotta, mozzarella … “, in veneto potremo usare più semplicemente, con lievi sfumature di significato, un più incisivo appellativo tipo “mòna” oppure “cojòn”.
Ecco come merito di essere definito dopo questo “ritiro” senza un motivo né una ragione.
Di solito celebro il valore della rinuncia quando figlia di saggezza, ponderazione e illuminazione (perchè lo sport di fatica è bello ma non è motivo per farsi del male), ma in questo caso è solo arrendevolezza
Stanco un po’ ero, come naturale dopo 15 ore e più di corsa, ma lucido, senza dolori di alcun tipo, in linea con i passaggi sommariamente immaginati, in rimonta senza fuori giri, con un tempo finisher previsionale entro la soglia psicologica delle 20 ore o giù di lì.
Eppure, giunto ai ⅘ di gara, con “solo” 1000 metri di dislivello e 24 km ancora da percorrere, ho abbandonato e non ho ancora capito il perchè.
Senza appello, me ne torno a casa con la coda tra le gambe.
Sapevo che quest’anno il mio limite era la tenuta sopra le 10-11 ore, perchè non l’avevo allenata, dando per scontato di avere un background in grado di autogenerare la sopportazione della fatica sui lunghi percorsi … ma evidentemente non si vive di rendita e non basta una buona preparazione atletica di base per sfangarla.
Nel mio “bugiardino” di viaggio avevo scritto alcune frasi tipo #neldubbiorallenta #+km+divertimento #keepcalmanddothelut #fermatieragiona #salutaibimbiemonica #ritmostrategiacibodiabete, ma mancava un qualsiasi riferimento alla opzione “crisi” (supponenza?).
Mentre ero in corsa, e recuperavo posizioni, mi dicevo: “avanti così”, “questi sono tutti più cotti di te”, “vai che ne hai ma non esagerare”, “occhio alle integrazioni”, “umile e regolare”, e avanti così.
Perle di saggezza, ma mi sono completamente dimenticato di parcheggiare in qualche angolo del cervello l’opzione “come uscire da una crisi sempre possibile in un trail.”
Scazzamento, mancanza di resilienza, indolenza? Sono cose che capitano, ma che non dovrebbero capitarmi …. Bla bla bla …
“Cristianage” ovvero l’arte di incasinarsi da solo e senza motivo. Siamo persone tormentate e la fatica talvolta fa emergere i nostri tormenti al posto dei talenti.
Ho sprecato il mio “dono”, che sarà pur piccolo e infinitesimo, ma non si può mollare così. Ho sempre odiato l’ashtag #nonsimollauncazzo (e continuo ad odiarlo), ma mi meriterei una gigantografia con questa scritta fuori di casa o sul desktop di computer, tablet, telefonino e su tutte le tshirt che indosserò da qui all’eternità.
Comunque stop. Fermiamoci qui con le spiegazioni, perchè “i finisher festeggiano, i quitter spiegano”.

#guardareavanti
Ora mi tocca fare un’altra ultra perchè non voglio buttare via così tutto lo smazzamento, la raccolta dati, i test, le verifiche, i sacrifici (miei e di chi mi vive intorno) di questi mesi.
Da febbraio (ripresa dopo la polmonite) al 23 giugno: migliaia di km (2000 ca a piedi, 500 in bici) e dislivello positivo (circa 70000 d+), decine e decine di allenamenti (almeno 100), raccolta dati e consumi energetici, test, simulazioni, ripetute, fartlek (tutto annotato su fogli e attualizzato ivi incluso un testo di soglia Vo2max), pontificazioni varie e una mia modesta ma costante ricerca di miglioramento nella gestione atletica, metabolica e mentale.
Un conto è uno che va alla come riesce, pazienza!
Ma io ci credo, ci studio su, mi alleno con piacere e ci capisco qualcosa … eppure ci ricado.
Vorrei tanto archiviare questa mia LUT (bella gara, niente da dire di tutto quello che scrivono e dicono gli “accademici” del trail) come un “episodio”, ma solo il futuro lo dirà.
Spero mi serva da sprone: era da tanto che non mi sentivo cosí deluso da me stesso, perchè in altri ritiri avevo trovato “puntuali giustificazioni e paraculismi”, qui invece nessuna scusa.
Ok, anche se fossi stato “finisher” sono e resto “esimo” e c’è sempre più gente che va forte e che fa trail (evviva così, perchè dobbiamo volere il trail solo per pochi eletti?), ma qui alla LUT mi piaceva l’idea di essere “esimo” degli “esimi” perchè aveva un senso assoluto: in classifica arrivi indietro, ma almeno ti misuri in campo aperto con i più forti al mondo e ti rendi conto che non sei nessuno, ma era importante per me “quantificare” quell’essere nessuno.
E questo sarebbe bastato a darmi soddisfazione, oltre a una condotta personale gratificante, molto più che fare primo al trail della via di casa mia.
Ma al 95° km mi sono dimenticato di tutto: di quanto mi piace la corsa in natura, di quanto mi smazzo per andare al meglio delle mie possibilità e provare ad essere “trailrunner of distinction”, dell’incredibile contesto naturalistico e montano in cui mi trovavo, dei miei bambini sul percorso con cui ho fatto ingresso alla base vita rifugio Gallina mano nella mano corricchiando tutto allegro con tanto di video emozionale della mia compagna, della fantastica minestrina ai ristori e dei gentilissimi volontari.

Di certo per questo non finirò in psicoanalisi, ma temo ci vorrà un po’ di tempo per “elaborare il LUTto” 🙂
Lavoro permettendo, con ennesimo doppio carpiato tra check-in, check-out, colazioni, pulizia stanze, help-yourself hospitality, sarò al via della Walser Trail http://www.monterosawalsertrail.com/ di fine luglio.

Cinque settimane abbondanti per trovare sul Monte Rosa quello che mi è mancato sulle Dolomiti.
Ce la faró o dovrò rassegnarmi al nuovo nickname “Pappamolle”.
Ovviamente non prendiamoci troppo sul serio, in fondo è solo una gara.
Sarà vero, o anch’io sono finito dentro il vortice dell’ipertrofia dell’io che riguarda oramai a 360°gradi lo sport di performance amatoriale?

# Atleticamente …
Sempre in zona 1 …. Cardio e frequenze sott’occhio per evitare di fare lo stupido nella prima parte di gara. Dopo anche se vuoi non riesci più a farlo.
Caldo umido nella fase iniziate, tutti intruppati. E dove li metti 1600 atleti.
Freddo umido sul primo duemila di Forcella San Forca, ma mi sono coperto, ho rallentato un po’ per ritrovare la giusta termoregolazione e tutto ok.
In discesa rilassato, salvando le gambe, e lasciandomi superare da chi sa mollare più di me.
Sempre tanta gente attorno, ma dal rifugio di Federavecchia siamo più sfilati.
Qualche modesta accelerazione: salendo all’Auronzo, uscito indenne dalla fase alba, la più pericolosa, per godermi l’aurora vista Tre Cime di Lavaredo.
Poi in discesa verso Landro, dove tutti si buttavano a bombazza: ho provato anch’io per qualche minuto a spingere, ravvedendomi per tempo, e tornando sui miei passi. Nel dubbio rallenta!
A Cimabanche, metà gara, arrivo bene, ritrovo Nicola e poi Betty, ma soprattutto la mia famiglia.
“Magia magia la fatica portati via”, così nell’abbracciare i miei pargoletti riprendo.
Qui ho anche tolto la fascia cardio. Dopo 10 ore il cuore si calma, e le dinamiche sono legate alla capacità di utilizzo delle scorte energetiche, dei grassi, alle integrazioni, alla tenuta muscolare, alla “testa”. Il temuto caldo arriva ma lo reggo meglio del previsto.
Gambe dure sulla salita a Forcella Lerosa, ma in buona compagnia (Nicola e per un po’ Betty).
Poi regolarità: da Malga Ra Stua fino al Rifugio Gallina ho recuperato quasi 100 posizioni senza apparente difficoltà e avvicinandomi alla top 200. Sì perchè con il livello di quest’anno già essere nei primi duecento era cosa buona e giusta.
Lucido, qualche scambio di battuta con altri concorrenti. Concentrato e silente, come piace a me.
Integrazioni regolari, con predilezione di maltodestrine e sali sciolti in acqua, un po’ di minestrina ai ristori dove era disponibile, qualche sorso di coca cola, acqua.
Stomaco perfetto. Passaggi previsti rispettati alla perfezione.
Cimabanche … in 9h30 (tra le 9 e le 10 ore la stima)
Rifugio Gallina (Falzarego) in 15 h e 20 (stima tra le 15 e le 16 ore).
E a Cortina sotto le 20 ore ci arrivavo giusto giusto.
Poi, però, vedi sopra. Tutti a casa!

#Metabolicamente
Il lavoro di analisi e raccolta dati “metabolica”, almeno quella, mi ripaga dello smazzamento.
Il ritiro è legato unicamente a “fattori mentali” … invece ho integrato e ho gestito il mio imperfetto metabolismo degli zuccheri a insulina esogena in maniera pressochè perfetta, almeno per quelle che sono le mie capacità e i miei precedenti, e in totale autonomia e autosufficienza, senza supporto esterno alcuno di nessun tipo. Nemmeno la mia espertissima e preparatissima compagna Monica ha “osato” intromettersi.

In preparazione a questa LUT mi sono concentrato su alcuni aspetti:
1) integrazioni in gara e allenamento e comprensione dei consumi energetici
2) valutare quanto le integrazioni siano legate alla “massimizzazione/ottimizzazione” della performance atletica e quanto al controllo delle risposte glicemiche.
3) verificare le risposte metaboliche in base alle frequenze cardiache e alle zone di intensità (lento, medio, ripetute, aerobico-lipicido. Aerobico glicidico etc) e alla fase assorbitiva delle insuline (a digiuno, post-assorbitiva mattutina, pomeridiana o serale)

In merito a ciò ecco alcune mie personalissime (s)conclusioni:

  • Fare attività fisica in fase post-assorbitiva (fino a ⅘ ore dal bolo) espone l’atleta con diabete di tipo 1 a maggior probabilità di tendenze ipoglicemiche (e conseguentemente a integrare a-fisiologicamente) e partire con glicemie alte non cambia il nostro destino, anzi!
  • Ciò detto, livello atletico, tipologia dello sforzo e quantità e tipologia del pasto precedente l’attività fisica possono aiutarci ad arginare questo effetto, in particolare a mio avviso mangiando un po’ meno e riducendo di conseguenza il bolo, anche perchè è noto che il pasto meno importante è quello che precede l’attività fisica (la recente letteratura sportiva in materia addirittura demonizza la pastasciutta o il riso prima di una gara, a mio avviso non ben distinguendo tra indice glicemico e carico glicemico … cmq lasciamo perdere!)
  • Più l’atleta #ditipo1 è allenato e consapevole delle proprie soglie di lavoro aerobico, più le necessità di integrazione si presentano in maniera più fisiologica e in linea con le raccomandazione della medicina dello sport in ottica massimizzazione/ottimizzazione della performance
  • Negli allenamenti a digiuno (al mattino oppure a più di 6/7 ore da un bolo di analogo ultrarapido) in uscite tra zona 1 e zona 2 (lipidico, lento veloce fino al limite della zona aerobica) anche con glicemie di partenza 80-110 mg/dl si possono portare a termine uscite financo a 1h30-45 senza necessità alcuna di integrazione e con curva glicemia praticamente piatta. Mantenendosi rigorosamente in zona 1 o a ritmi blandi anche fino a 3 ore. Cosa voglio dire? Non che fa figo correre per 3 ore di fila senza integrare se hai il diabete, ma che l’atleta con diabete di tipo 1 debitamente preparato può e deve seguire un programma di allenamento strutturato che comprende tutte le tipologie di lavoro, anche le uscite a digiuno fondamentali nel rafforzare la potenza lipidica negli sport di endurance, senza necessità di integrare secondo i dogmi delle linee guida della diabetologia dello sport.
  • Nelle valutazione su diabete di tipo 1 e “pratica sportiva di performance” (ecco una nuova definizione per meglio inquadrare l’argomento … altrimenti se parliamo genericamente di “sport e diabete” non sappiamo più dove andare a parare) non basta considerare i fattori insulina, fase assorbitiva, tipo terapia, micro o penne, aerobico/anaerobico per trovare la “quadra” e ancor più inutile utilizzare i range della glicemia come indicatore per scegliere o meno se integrare, quando a monte prima manca una profonda conoscenza della fisiologia dell’esercizio applicate alla disciplina sportiva (durata, intensità, tipologia di allenamenti, giorni di riposo, orari di uscita) e alle caratteristiche dell’atleta (motore, soglie, consumo energetico, capacità del recupero) oltre al suo stile di vita (dieta, disciplina, motivazioni etc) … insomma ragionare sull’atleta #ditipo1 come fosse un atleta #ditipoqualunque. Esattamente quello che gli “addetti ai lavori” spesso dimenticano, in primis noi atleti #ditipo1 e chi ci vive accanto, nello sport e non solo.

Venendo ora alla mia gestione durante la LUT 2017, ritiro a parte (cosa non esiziale) sono riuscito a fare e ottenere esattamente quello che volevo da un punto di vista prettamente metabolico.

Buon compenso nelle 24 ore precedenti la gara, riposo, alimentazione semplice, nessuna ipoglicemia o iperglicemia, cena (90 gr di riso e 1 frutto) con bolo di 8 ui a 5 ore dalla partenza arrivando in “quasi” normoglicemia con lieve fase post-assorbitiva (insulina residua) che ho “sfruttato” a mio vantaggio per metabolizzare meglio i cho che volevo assumere nella prima fase di gara. Il tutto in combinato disposto con l’attività fisica e la basalizzazione in Tresiba (14 ui rimasta invariata nel prima e nel dopo).
Nel diario è possibile valutare le risposte glicemiche, il timing e la fase (km, dislivello, salita, discesa, progressivi, orari, notte, giorno).
Finalmente (!), sono riuscito a far funzionare il sensore freestyle a dovere e gli ultimi due montati sono durati i fatidici 14 gg e senza incepparsi. Ho studiato a fondo la conformazione delle mie braccia per trovare il punto di attacco più stabile e meno sensibile alle tensioni muscolari e agli sfregamenti (confermo comunque tutte le mie critiche sull’affidabilità e i possibili e auspicati miglioramenti del sistema).
Questa volta ho un grafico completo delle curve e dei picchi e posso ragionevolmente capire la velocità dell’alzarsi e abbassarsi delle glicemie, anche in relazione al profilo altimetrico e ai ritmi sostenuti.
In una prova di endurance per massimizzazione della performance si intende la capacità di marciare regolarmente in zona lipidica, dunque i consumi di zuccheri non sono massimali come quando si viaggia tra zona 2 o 3 tipo maratona oppure un trail più breve. Tuttavia le ore sulle gambe sono tante, dislivello e fondo del terreno fanno il resto.
Anche se ho corso sempre in soglia 1, dunque, dopo un certo monte ore i muscoli reclamano comunque rifornimento: ho tenuto una media integrazione di poco inferiore a 0,5 gr cho pro kg pro ora, anche se, come detto, avevo previsto un po’ di fabbisogno in più nelle prime ore di gara complice la coda di bolo delle 19 circa. Il tutto desunto anche dai dati raccolti durante tutta la preparazione.

Recentemente ho avuto modo di leggere con attenzione una “review freschissima” giratami da doc Maurizio Sudano su gestione dell’attività fisica e diabete di tipo 1 pubblicato dalla rivista “Lancet Diabetes Endocrinol 2017”  redatta da Riddel e Gallen, nomi sconosciuti ai più, ma punto di riferimento della “diabetologia dello sport” mondiale. Una lettura interessante perchè per la prima volta si prova a indagare, come, osserva il nostro dott. Andrea Benso, “la diversa risposta glicemica in base alla tipologia di esercizio” e la “differenza fra integrazione di CHO per prevenire ipoglicemia vs per ottimizzazione della performance” oppure come osservo io “l’importanza della tolleranza individuale all’assunzione di carboidrati durante l’attività fisica” ai fini della strategia insulinica da adottare..
Suggestioni già presenti nel DNA DNL e ora affrontate anche su pubblicazioni ufficiali.
Tuttavia rimane, a mio avviso, un lavoro ancora parzialissimo, dove, da una parte, si danno spunti interessanti, ma poi si tornano a scrivere regolette “se hai tot valore e sei in micro e fai aerobico ma non massimizzi la performance fai così, sennò cosà”, in un’attaccamento alla “glicemia” a mio avviso eccessivo e improprio, almeno per l’atleta #ditipo1 #diperformance.
Il tentativo di proporre schemi di comportamento sempre più affinati, ricade nel solito errore: decidere cosa fare in base al range delle glicemie (peraltro molto rigido <90mg/dl, 90-124, 126-180 …e se hai 125?, 182-270 etc.), e soprattuto quasi sempre correlato alla considerazione “se è permesso iniziare o meno un’attività fisica”, “prima misurarsi i chetoni” …
Ma quando sei in giro per 10 ore e più, e in ambito di performance, simili ricette non sono applicabili nè da applicare. Ogni cosa inizia, finisce, riprende, cambia, muta. Ci sono regole e dinamiche peculiari di ciascuna disciplina sportiva da rispettare, quando praticata in ambito competivo-agonistico.
Serve ora un approccio più evolutivo e dinamico, che continua a mancare, perchè mancano gli studi “real-life” in ambito PRATICA SPORTIVA DI PERFORMANCE.
A maggior ragione nel raccomandare le integrazioni si parla sempre di un “minimo” 1 g di cho per kg di peso per ora, ma anche fino 1,5 grammi se l’esercizio supera le 2h30.
Ovvero nel mio caso non meno di  70 gr di cho pro ora ma meglio 90/100 gr. Ovvero l’equivalente di 120 gr di pasta ogni ora. Cioè avrei dovuto assumere 1350 grammi e più di cho (blocco intestinale o diarrea assicurati e non so quanta insulina per metabolizzare il tutto oltre a uno zaino addizionale solo per barrette, gel e polverine varie).
Iperbole a parte, se le indicazioni della “medicina dello sport più avanzata” per atleti #ditipoqualunque suggeriscono fino a un massimo di 1 gr di cho per kg per ottimizzare la performance, secondo le linee guida #ditipo1 più evolute, le necessità di integrazione per l’atleta con diabete di tipo 1, anche se parimenti evoluto, allenato e ottimizzato sull’endurance, sembrerebbero essere “per definizione” superiori a quelle dell’atleta normoglicemico mediamente di un 50%.
Ovviamente su questo bisogna lavorare e studiare di più in “reallife”,, ma secondo la mia esperienza (e le tante che ho condiviso in 10 anni di Diabetenolimits), le integrazioni necessarie sia a massimizzare la performance sia a controllare le risposte glicemiche sono più vicine a quelle dell’atleta qualunque.
Anche l’automatica e programmata riduzione dell’insulina prima di iniziare un’attività di endurance, andrebbe ponderata e non dovrebbe essere automatica ma evolutiva, perchè può non essere appropriata sia al mantenimento del buon compenso nella fase pregara sia nel metabolizzare gli aumentati fabbisogni di carboidrati legati alla prestazione atletica.
Insomma se avessi ridotto la basale dal 30 al 50% il giorno prima (sempre se con Tresiba abbia senso ….), avrei corso il rischio  di trovarmi poco “coperto” durante le 20 ore previste di gara e dunque dover continuamente fare boli correttivi (ma visto la velocità con cui si moltiplica la fase assorbitivia delle insuline in sforzi di endurance così prolungati e così probanti muscolarmente non so con che risultati dal punto di vista glicemico) fermo restando che le modificazioni di Tresiba si manifestano dopo 48-72 ore, e dunque a prova finita, quando invece di avere meno basale, ne voglio di più, perchè mangio come un lupo, e a ragione, perchè necessito di recuperare quanto i muscoli hanno cannibalizzato durante prove così estenuanti.
Diverso il discorso se in terapia con microinfusione (forse …) ma mancano i dati real-life in full-disclosure.
Ciò sembra in linea con i risultati emersi dal piccolo laboratorio DNL (2007-2017 …), ben riassunti dal dottor Vasta feat. Sudano and DNL Docs Nollino, Benso, Gamarra, Miccio etc. in un articolo pubblicato a gennaio sulla rivista di endocrinologia italiana: “La sperimentazione dal basso spontaneamente attuata dai pazienti DMT1 che fanno sport, dimostra che il rischio di ipoglicemia durante esercizio fisico, nei soggetti allenati, è molto sopravvalutato”.

Rifugio Gallina. Arrivo pimpante, i miei bambini, riparto e mi ritiro dopo 10 minuti. Robe da matti!

Le linee guida  sui carichi di lavoro da utilizzare (in Mets o % della frequenza cardiaca massima o del VO2max), sulle modificazioni del dosaggio insulinico e sulle integrazioni con carboidrati prima, durante e dopo l’esercizio fisico, – prosegue il dott. Vasta – hanno prevalentemente come target una popolazione di DMT1 sedentaria o moderatamente attiva e non tengono conto degli adattamenti fisiologici che avvengono, anche nel diabetico, con la pratica continuativa e ad alto livello di sport di endurance.
Gli spunti non mancano. Latitano invece, ahinoi, gli sperimentatori dal basso e dall’alto, capaci di argomentare, raccontarsi e limitare le castronerie al minimo sindacale. In questo DNL sempre sola!
Ci sarebbero tante altre cose da dire, ma lascio al mio piccolo “cerchio” di medici motivati le argomentazioni una volta che avrò concesso loro la “full disclosure” dei dati della mia preparazione che conto di completare entro un paio di settimane.

Dopo questo pistolotto il mio ritiro non mi pesa poi più di tanto (ma sono incaxxato nero con me stesso come non mai) e guardo avanti con rinnovata fiducia anche se adesso, conoscendomi, so che commetterò una serie di errori da “atleta stordito” tipo voler riscattarmi subito e troppo in fretta con allenamenti massacranti, senza dare al mio corpo da atleta #ditipoqualunque il giusto tempo di recuperare dalle fatiche di quattro quinti di LUT. Somaro sono, somaro rimango.
Grazie per chi ha avuto la pazienza di leggere fin qui. Almeno quindici minuti ci vogliono tutti!