Testo di Cristian Agnoli, Presidente di Diabetenolimits Onlus, atleta amatore di medio-basso livello con diabete di tipo 1, “dopato” per definizione in quanto utilizzatore di modulatori metabolici a fini terapeutici, leggi insulina, farmaco salvavita “a vita” prescritto con diagnosi certa e inoppugnabile, certificata dal sistema sanitario nazionale e senza alternative.
L’atleta con diabete di tipo 1 è a tutti gli effetti equiparabile, concettualmente e praticamente, a qualsiasi altro atleta “sano” secondo unanime e comprovata letteratura.
E quando parliamo di doping?
A evidenziare e celebrare la necessità e il diritto della persona con diabete di tipo 1 (insulino-trattata) a performare al meglio nello sport sono anche e soprattutto le altisonanti associazioni nazionali degli atleti diabetici e relative succursali, oltre a vertici e delegazioni dello sport italiano, europeo e mondiale, e la comunità medica tutta: tuttavia da nostre ricerche, nessuna traccia di qualcosa che assomigli anche vagamente a un vademecum sulla questione “sport agonistico, diabete di tipo 1 e normativa anti-doping” a livello ufficiale / istituzionale: speriamo di aver cercato male e con superficialità e di essere smentiti.
Con questo articolo, senza pretese di verità e attendibilità assolute, proviamo a fare chiarezza sulla pratica sportiva agonistica con diabete di tipo 1 e dunque ad insulina/e esogena/e, ovvero di farmaci salvavita “vitanaturaldurante” prescritti dal sistema sanitario nazionale con diagnosi inoppugnabile e certificata e senza alternative, e il cui mancato utilizzo significherebbero la MORTE del soggetto nel giro di poche ore/giorni/settimane a seconda dei casi.
Le insuline appartengono infatti alla categoria “ormoni e modulatori metabolici” e sono espressamente vietate dalla normativa antidoping.
Per meglio comprendere il tutto, in questi giorni per la prima volta nella mia vita di atleta amatore ho deciso, a prescindere dall’opportunità o meno di farlo, di “regolarizzare” la mia posizione.
Ho compilato e inviato via email al CEFT, Cominato per l’Esenzione ai Fini Terapeutici presso il CONI (email: ceft.antidoping@nadoitalia.it ; fax +390632723742), il famigerato TUE, acronimo inglese che identifica la pratica di esenzione per uso terapeutico di farmaci dopanti. SONO IN ATTESA DI RISPOSTA (aggiornamento: il 20 luglio la mia richiesta è stata accolta e ho ricevuto con lettera raccomandata A.R. il mio TUE anticipato via email).
Tutta la documentazione è stata compilata in stampatello e ben leggibile (pena la non accettazione) e inoltrata, in parte da me sottoscritta, ma ove necessario firmata dal mio specialista di malattie metaboliche di fiducia, unitamente a una relazione allegata (praticamente l’articolo che state leggendo) in cui sollevo le criticità della normativa quando applicata al caso dell’atleta con diabete di tipo 1 e comunque di patologie croniche con diagnosi, terapia e durata assimilabili.
Insomma le autorità antidoping possono contestare il fatto che io uso un farmaco salvavita, che nessuno può proibirmi di usare anche perché altrimenti ci resto secco, e potrebbero squalificarmi o bandirmi dalle gare, dunque vietarmi di gareggiare, dopo che ci sono voluti decenni per arrivare a portare le persone con diabete di tipo 1 a competere e a performare esattamente alla stregua di tutti gli altri.
Dal punto di vista legale/formale, infatti, indipendentemente dal fatto che la patologia sia certificata dal SSN e l’uso della sostanza terapeutico, l’atleta con diabete di tipo 1 è tenuto a inviare il TUE, anche se si tratta di “farmaco salvavita a vita”, senza alternative (non ci sono farmaci analoghi non dopanti) e con diagnosi inoppugnabile certificata dal sistema sanitario nazionale, a referto con tanto di esenzione e che compare sui terminali degli ospedali quando prenoti una qualsiasi prestazione specialistica.
Se scoperto, è DOPING a tutti gli effetti, con tutto ciò che ne consegue. L’invio riguarda tanto l’atleta professionista tanto l’atleta amatore (praticamente il 99% dei praticanti), tesserato e in regola con le normative per l’attività agonistica, che fa tutto nel nome della “passione sportiva” nel proprio tempo libero.
Il modulo, che si scarica dal sito del CONI smanettando un po’ sul computer, è scritto in inglese, ma c’è la traduzione in italiano, tuttavia va utilizzato il modello in inglese salvo il modulo F51, ovvero il certificato di prescrizione terapeutica, che è di competenza dal medico specialista e ha i campi nella lingua del compilatore.
Le note della modulistica richiamano a chiarezza, completezza e certezza dei dati inviati, pena la non presa in carico della pratica.
Comunque a voi giudicare. Qui di seguito troverete il facsimile dei seguenti documenti:
- Il mio TUE (compilato in inglese) … inviato via email in data 13 luglio e in attesa di risposta!
- Il modello F51 allegato al mio TUE (versione italiana)
- La modulistica e i link al sito del CONI link sezione ANTIDOPING CONI
Ricordo che il modello F51 andrebbe compilato dal medico specialista che ci segue, ovvero il mio diabetologo assegnatomi dal SSN, che quando gli parlo di sport, per carità, è contento, ma credo non capisca a pieno la differenza tra una gran fondo ciclistica, una maratona su strada, un triathlon o una gara di sci di fondo.
I nostri diabetologi di provincia e non, inoltre, sono già sufficientemente trafelati di loro e assai restii a mettere timbri e firme su documenti e argomenti che non conoscono, magari in inglese.
Questo TUE “caso scuola” ho scelto di farlo firmare al DNL Doc Mario Vasta, con cui abbiamo cercato di approfonditre la questione e che meglio conosce la mia gestione “atletica”.
Nelle note allegate al modulo ufficiale, abbiamo trovato un unico riferimento al caso diabete (tuttavia senza specificare se di tipo 1 o 2 … !!!!!) ovvero che per la diagnosi bastano mese/anno di esordio, non la data esatta, così come per la voce “data inizio terapia” è sufficiente l’anno.
Quindi nel campo “data della diagnosi” si scriverà l’anno di comparsa del diabete, e per durata abbiamo indicato “a vita” ovvero “all life long”.
Non abbiamo capito se dobbiamo allegare la documentazione dell’ospedale/ambulatorio che ha certificato la diagnosi di diabete. Potete se volete allegare il referto medico dell’esordio, ovvero la cartella clinica che accerta la condizione patologica irreversibile.
Dotatevi inoltre di un prontuario medico … per fortuna che su internet c’è tutto, perchè di ogni farmaco bisogna produrre il Codice ATC, il principio attivo, la specialità medicinale, la via di somministrazione, etc etc. Anche il diabetologo più preparato non conosce il codice ATC a memoria.
Per i dosaggi, abbiamo trasmesso quello attuale aggiungendo la dicitura “modificabile in base alle esigenze di buon compenso del paziente” (ovvero l’equivalente in inglese più o meno).
Potrà mai un membro della commissione mondiale antidoping contestare la posologia di un atleta/paziente con diabete di tipo 1?
Chi conosce anche sommariamente la patologia diabetica di tipo 1, sa che durata, dosaggi, tipologie di insuline mutano continuamente e lo stesso soggetto affetto modula dosi e insuline in base al quotidiano, con o senza consulto medico. Se mangio di più faccio più insulina ad esempio. Dovrei ogni volta comunicare al CEFT se faccio 2 unità in più o in meno, o se mangio la pizza. Qui fra poco ci chiedono anche il diario alimentare, l’obbligo di indicare la pizzeria dove ci troviamo, ovviamente con timbri e firme da reperire girovagando per ambulatori o in un turbinio di email e allegati con smartphone sempre connessi.
Altro campo interessante (e ridicolo) da compilare: data fine terapia. Noi abbiamo inserito anche qui: “a vita!”
Il TUE non ha valore retroattivo, salvo per pochi giorni, in caso di terapie di urgenza. Quindi per le competizioni passate cui si è partecipato da dopati senza comunicarlo non si è esentati.
Nel mio caso, sono diabetico dal 2005, ho sempre fatto gare senza presentare nessun documento. Cosa si fa? Ci si mette una bella pietra tombale sopra. Tanto cosa cambia, ammesso che lo facciano, se mi tolgono il millesimo posto alla Maratona di Berlino del 2009? Ma se avessi vinto le Olimpiadi tenendo nascosta la mia patologia?
Per le gare future si pone il problema di comunicare quante e quali gare, come se programmassi la stagione alla stregua di un atleta professionista. Ma se non so nemmeno cosa farò domani.
E’ vero che si potrebbero indicare le due/tre gare importanti che solitamente tutti gli sportivi amatori mettono in calendario. Io avrei voluto compilare il campo con la dicitura: “lo specialista non ne è al corrente né può esserlo, tantomeno è in grado di inviare un elenco esaustivo”, ma doc Mario Vasta ha scritto un più generico, e comunque impreciso, “almeno una al mese” …
Riteniamo infatti che lo specialista che ci ha in cura, e che ci prescrive le insuline (endocrinologo, diabetologo) non è tenuto a sapere a quali gare parteciperemo o abbiamo partecipato. Mica è il nostro personal trainer. Evidentemente la modulistica è fatta per squadre e team pro che hanno medici e specialisti all’interno dello staff, non per atleti amatori “alla come riesce”.
Però i controlli antidoping riguardano sempre più anche competizioni amatoriali e sportivi per passione senza staff medico professionale al seguito. Come la mettiamo?
CONI e FMSI dovrebbero meglio coordinarsi su questo punto, visto che la lotta al doping, anche in buona fede, è al centro delle loro benemerite attività (e le cronache di questi giorni sul caso Schwazer e sui controlli nel ciclismo amatoriale ne sono una testimonianza), tra le quali ci sono anche tante manifestazioni che prevedono premiazioni e riconoscimenti a meritevoli atleti con diabete di tipo 1, cioè dopati per definizione e di fatto parrebbe, visto che almeno il 99% non sa neanche che dovrebbe adempiere (ma deve adempiere davvero?) a questo passo formale, a parte i pochi fortunati e talentuosi facenti parte di un team professionistico (e quelli che hanno letto questo articolo).
Una volta che siamo giunti in fondo alla compilazione, e verificato di aver inserito tutti i dati, ci chiediamo: adesso lo invio, ma quanto vale?
Lo devo re-inviare il prossimo anno o vale per tutta la vita? La malattia diabetica di tipo 1, lo ripetiamo, dura a vita (allo stato attuale dell’evoluzione scientifica).
Riassumendo da quanto esposto agli atleti con diabete di tipo 1 non resta che scegliere tra una delle seguenti ipotesi di comportamento.
- NON FARE NULLA, non inviare mai niente e vedere cosa succede. Verosimilmente mai nulla in quanto i controlli antidoping sono costosissimi e se si leggono regolamenti e modalità, richiedono una lunga serie di passi medico/legali a garanzia di atleta e controparte per cui anche se viene detto, di fatto la WADA molto difficilmente farà controlli.
Se si venisse “beccati”, la cosa importante è l’art 8.11 della legge NORME SPORTIVE ANTIDOPING: documento tecnico-attuativo del Codice Mondiale Antidoping WADA e relativi standard internazionali (ci siamo letti 130 pagine per scovarlo).
Qualora la NADO ITALIA decida di prelevare un campione biologico da una persona che NON sia un Atleta di livello internazionale o nazionale e tale persona utilizzi una sostanza vietata o un metodo proibito a scopo terapeutico, la NADO ITALIA potrà consentire a detta persona di richiedere retroattivamente una TUE.
In buona sostanza vuol dire che se casomai un DM1 fosso colto in assenza di TUE e positivo al doping per insulina, potrebbe poi portare la documentazione e “nessuno si sognerebbe di contrariarlo altrimenti scoppierebbe un caso mondiale” (cit. Mario Vasta). Un bravo avvocato in cerca di visibilità, grazie ad un contenzioso di risonanza mondiale, metterebbe nel ridicolo l’Autorità antidoping.Resta da vedere tuttavia come appellarsi all’articolo 8.11 e quali costi e adempimenti prevede. Avvocato, consulente, esperto, note e memorie, documenti, protocolli per presentare ricorso a una squalifica magari perché sono arrivato sul podio a una gara di terza fascia e la notizia va a scapito della mia reputazione. Personalmente me ne fregherei alquanto, anzi forse festeggerei e utilizzerei la cosa per far cambiare le regole, però a qualcuno potrebbe anche dare fastidio. - INVIARE il TUE annualmente applicando alla lettera la normativa (di sicuro se sei un atleta professionistia di livello nazionale e internazionale … )
- INVIARE IL TUE una tantum (come ho fatto io) a scopo di “pungolo” allegando una memoria che chiarisca le peculiarità della patologia diabetica;
Se lo facessimo tutti (opz. 2 o 3) intaseremmo fax e casella e-mail della NADO Italia, costringendoli forse così a una semplificazione normativa, visto che trattare una mole simile di richieste sarebbe insostenibile. Alcuni provvedimenti semplificatori sarebbero i seguenti (a meno di non considerare l’abolizione del TUE per i DM1, why not?):
- Invio TUE una tantum ( una volta nella vita con riguardo all’insulina)
- Indicazione terapia di massima con richiamo al proprio ambulatorio diabetologico per accedere ai dati terapeutici
- Non necessarietà di indicare le competizioni cui si partecipa
- Più in generale non necessarietà di compilare alcuni campi non pertinenti a patologie croniche “a vita”
Insomma è chiaro che a meno che non si sia atleti di élite possiamo quasi tranquillamente fregarcene (tanto non ti beccano mai e se ti beccano è peggio per loro con il casino che salta fuori) e eventualmente appellarci all’articolo 8.11 e dunque produrre successivamente le “prove” della nostro fabbisogno a vita di insulina.
Quindi a voi scegliere cosa fare, ma possibile che tocchi sempre a Diabetenolimits e al suo presidente andare a fondo in maniera esplicita a questioni di “sostanza” come queste?
Mille iniziative, cene di gala, studi, simposi, convegni, premiazioni e trofei nei saloni dello sport italiano, fiumi di parole ma tacendo le cose che andrebbero chiarite.
La diabetologia dello sport di “regime” (consentitemi la parola) che si vanta di rappresentare le persone/atleti con diabete anche “fortissimissimi” perchè non tratta l’argomento in maniera pubblica ed esaustiva?
Forse perché hanno già elaborato a lungo la cosa e alla fine sono giunti alla conclusione: “TUTTI ZITTI E MOSCA”
Il considerare l’atleta con diabete di tipo 1 come un qualunque altro atleta vale anche quando si tratta di certificare una dipendenza terapeutica da farmaco a vita? Tutto ciò è una grande conquista o una piccola discriminazione … ?
O una inutile e insensata perdita di tempo per tutti, controllati e controllori?
“Se una persona con diabete su cinque si sente discriminata in quanto il diabete influenza negativamente i diversi aspetti della vita quotidiana” – come si evince dallo Studio DAWN 2 – non sarebbe una bella sferzata di positività l’evitare casi di “positività al doping” negli atleti con diabete di tipo 1 semplificando o migliorando il modo in cui il doping è percepito e regolamentato?
O forse sarebbe più positivo fossimo tutti “positivi”?