LUISA’S VERSION @ LUT 2021
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“LAGGIU’, NELLA LUCE DEL SOLE, CI SONO LE MIE PIU’ ALTE ASPIRAZIONI.
POTREI NON RAGGIUNGERLE, MA POSSO GUARDARE IN ALTO E
VEDERE LA LORO BELLEZZA, CREDERE IN LORO E
PROVARE A SEGUIRLE FIN DOVE CONDUCONO.”
(Louisa May Alcott)
PREMESSA
Ho tergiversato nell’iniziare a scrivere questo report… più che per mancanza di tempo e/o voglia per il timore di non riuscire a trasmettere efficacemente ciò che ha significato per me questa LUT, come l’ho vissuta e tutto ciò che mi è rimasto addosso. Basti dire che, in questo preciso momento, dalla mia postazione PC con accanto medaglia, pettorale, braccialetto, prospetto dell’altimetria e road maps… mi scappa la lacrimuccia di commozione nel reimmergermi nel percorso che mi ha portata fino alla LUT e nel percorso della LUT stessa.
Essere finisher di questa gara può corrispondere alla realizzazione di un sogno, di un’“impresa” (come molti la definiscono, anche se personalmente credo che nella vita le vere imprese siano altre…), di un viaggio, di un’esperienza?! E come è andata? Cosa mi è rimasto? Parto dal presupposto che non si è una persona “migliore” o “peggiore” in base all’esito di una competizione sportiva. Tuttavia essere finisher della LUT per me è fonte di orgoglio.
Quello che mi sorprende, e di conseguenza mi commuove sempre profondamente, è il “COME” ho percorso la LUT, come del resto tutte le gare che l’hanno preceduta in questi ultimi anni, a pensarci bene: con la serenità, la gioia, la crescente fiducia “nel mio passo”. Quando sono arrivata al Passo Giau (103° Km) ho trovato in prossimità del ristoro Michele, mio marito, e poco dopo mio papà. Il ricordo più significativo e vivido di questa gara rimane fisso lì: stavo scendendo di corsa verso il ristoro, e il mio papà vedendomi correre e al contempo sorridere, gaiarda e nel pieno delle mie forze, ha alzato le braccia al cielo e piangendo, commosso, mi ha incitata “Brava, Luisa! Brava!” Io credo di aver sorpreso e stupito me stessa ma anche chi mi ha seguita nelle varie tappe, non solo per la performance fisica e atletica (che proporzionalmente al tipo dei miei “allenamenti” è stata soddisfacente), ma soprattutto per lo stato d’animo che mi ha accompagnata: sono sempre stata serena, allegra, sicura (a tratti molto, molto addormentata!!!). Mi rimane anche un grande senso di gratitudine rispetto a questa opportunità che ho cercato… si, perché le opportunità non ti cadono addosso così all’improvviso, non piovono dal cielo (per altri invece accade proprio così): devi andartele a pescare e godere fino in fondo. Vivere con una patologia cronica mi ha sempre spinta a cogliere le opportunità che avrei potuto sfruttare per avere la sensazione di vivere al meglio, in pienezza. Perché se mi chiedo cosa desidero davvero, mi rispondo che non voglio arrivare alla fine dei miei giorni pensando “Avrei voluto…avrei potuto…” Io voglio giocarmi tutto ciò che è nelle mie possibilità (studiando, lavorando, facendo sport…)
“Io credo che a questo mondo esista un’unica grande legge: l’inizio e la fine.
E dobbiamo farci i conti, tutti.
Viviamo come se fossimo eterni, ed eterni non siamo.
Viviamo come se ci fosse sempre un domani che, in realtà, non ci è garantito.
Viviamo come se quello che abbiamo fosse scontato, fosse un dato di fatto, fosse immutabile.
Ci sbagliamo.
Operiamo al meglio in questo nostro passaggio.
Lasciamo un contributo, qualunque esso sia.
Un figlio, un diario, un pensiero, un dipinto, una foto, un insegnamento, un ricordo nel cuore degli altri.
Diffondiamo amore per lasciare un mondo migliore di come lo abbiamo trovato.
Lasciamo andare il superfluo, la consapevolezza della fine sia monito e spinta: non tutto è così importante, non legarti ai dettagli, il parere altrui non è vitale, non lo è una brutta figura, nè un fallimento, nè un rifiuto, nè una ferita al nostro orgoglio.
Non tutto è così importante, ma ogni cosa sia per te importante: ogni passo, ogni respiro, ogni gesto d’affetto, ogni parola gentile, ogni piccolo, luminoso segno del tuo passaggio in questa vita che è un tutto e un niente.
Sorridi, prenditi in giro, fregatene, credici sempre.
È la vita, la tua.
Dalle valore, ma non prenderla troppo sul serio.”
(Oscar Travino)
Qui si parla della consapevolezza della morte come monito e spinta. Come molti di voi immagino, nella mia vita ho visto morire persone, anche molto giovani, a causa di malattie più subdole della mia, malattie per le quali la scienza non ha ancora trovato cure e terapie efficaci (tumori, malattie rare, a carattere degenerativo). Aldilà del dolore e della rabbia che umanamente proviamo quando perdiamo una persona cara per questo tipo di patologie, a noi poi cosa rimane? Cosa possiamo fare dell’angoscia che proviamo rispetto ad accadimenti simili? Cosa ne può nascere? Crogiolarsi nel dolore, nelle domande, nella rabbia, porta a profonde ed importanti riflessioni…ma poi? E’ necessario trasformare. Io ripenso a chi nel corso della mia vita è passato e mi ha lasciato messaggi tanto preziosi quanto densi di sofferenza ed io ho deciso di piantarlo il mio bastoncino (metaforicamente) perché questi messaggi sono stati un forte richiamo non solo a non arrendermi alle prime difficoltà ma anche a vivere “forte”, senza risparmiarmi. Quando qualcuno mi chiede “Ma come fai?” (Riferendosi ai miei allenamenti e alle gare a cui partecipo). Io sorrido e rispondo “Ma in che senso come faccio?” Per me le fatiche sono altre. Le fatiche per esempio sono quelle che ho visto, osservato, percepito, della cara zia Antonella (una zia acquisita). Il mio bastoncino lo pianto con forza, spesso senza accusare la fatica, perché Donne come lei mi hanno insegnato. Mi hanno insegnato con l’esempio e non con la parola. A non arrendersi. A non commiserarsi. A trovare sempre un motivo per alzarsi, provare e riprovare. E la difficoltà era palpabile. Impossibile che non penetrasse in ogni dove. Aldilà dei sorrisi. Se ne è andata dopo tanti anni di sofferenza, per una di quelle malattie rare che non si sanno da dove arrivino, perché arrivino e come tenerle a bada. Quelle malattie che poco per volta si prendono tutto di te, lasciandoti per lungo tempo, fino alla fine, nella consapevolezza di ciò che sta accadendo non solo al tuo corpo ma a tutte le dimensioni di cui sei incarnata, te come donna, privandoti anche del residuo di forze. Situazioni dalle quali spesso ho preferito defilarmi perché stare in empatia implicava una fatica emotiva immane, quasi insostenibile. Situazioni che ti fanno sbattere in naso contro i veri misteri del vivere e del morire e di tutto ciò che ci sta nel mezzo. La zia Anto il suo bastoncino lo ha piantato. Ci ha fatto vedere come si fa. Il suo passaggio non è stato vano. Il mio bastoncino lo pianto ripensando spesso anche alla zia Anto, lo pianto con forza e la mia preghiera silenziosa si eleva sempre anche a lei. Io non prego in chiesa. Non recito preghiere mnemoniche. Non mi sento legata ad un dogma religioso. Ma credo. Credo forte e coltivo la mia dimensione spirituale praticando il Trail running, in mezzo alla natura, in profondo ed autentico contatto con l’Universo.
Significativa è stata la mia esperienza di Counseling presso una RSA. Mi è stato proposto, alcuni anni fa, di accompagnare un giovane ragazzo tetraplegico in un percorso di Counseling. Ogni volta che mi recavo da lui, settimanalmente, mi chiedeva “Luisa, raccontami delle tue corse!” Inizialmente mi sentivo molto impreparata e a disagio…mi pareva una cattiveria narrare a lui i miei allenamenti e le mie gare di Trail runnig. Poi ho capito che lui viveva queste esperienze e vedeva le mie montagne attraverso i miei racconti… Da allora nelle mie corse e nelle mie camminate c’è anche il sorriso, la curiosità, la tristezza, la malinconia, la rabbia e l’arresa di questo ragazzo.
Mi sento fortunata per poter camminare, per poter correre, per poter vedere gli ambienti delle nostre montagne, per poter fare tante esperienze. Il Trail running rappresenta sempre, in definitiva, una preghiera di “Grazie”. Questo a parer mio è uno sport, che più di altri, favorisce una profonda ed autentica connessione con se stessi: si contattano i propri limiti, le proprie risorse e potenzialità, favorendo il processo di autoconoscenza e crescita personale. L’ambiente naturale in cui viene praticato il Trail running agevola anche una profonda connessione con la dimensione spirituale. Spesso è possibile sperimentare stati di quiete, calma, centratura, che aiutano a percepirsi particolarmente integri. Si vive uno stato “meditativo”, di assoluta tranquillità, che dona significativi benefici a più livelli.
E correndo porto sempre con me il messaggio di un’altra persona. All’età di 14 anni ho sentito per la prima volta quella “morsa allo stomaco” o “le farfalle nella pancia”, tanto per intenderci, al cospetto di un ragazzo, il primo per il quale abbia provato un certo interesse e curiosità. Lui aveva 18 anni. Parlava poco e già questo mi piaceva, considerando che ragazzi spavaldi ne conoscevo fin troppi. Lui invece era molto pacato e silenzioso. Semplice. Estremamente semplice. Ne ho avuto conferma al nostro primo appuntamento, che abbiamo concordato tramite dei bigliettini scritti a mano che un’amica comune ci consegnava (non c’erano i cellulari!!!…) E’ arrivato in sella alla moto più sfigata che io abbia mai visto…ed andava pure piano…pianissimo… E stava lì impalato a guardarmi, nel parchetto, con aria serafica. Io in piedi, immobile, difronte a lui, osservandolo timidamente a circa un metro abbondante di distanza: mi sentivo piccola per avvicinarmi…se mi fossi avvicinata chissà cosa sarebbe potuto accadere. E allora aspettavo che fosse lui ad intavolare un discorso. Nulla. Puntualmente dopo svariati minuti di reciproca “osservazione”, lui risaliva sulla sua motoretta e con tutta tranquillità se ne andava. Un giorno ci siamo incontrati in spiaggia, sul nostro lago. Coraggiosamente ho preso parola io, perché c’era una questione che dovevo assolutamente affrontare. “Io ho il diabete, non so se questo sia un problema per te.” Mi chiedevo cosa potesse pensare un ragazzo rispetto alla mia patologia, che implica “bucarmi” (tra glicemie ed iniezioni) svariate volte ogni giorno. Mi sentivo in dovere di avvisarlo. Lui, prontamente, mi ha guardata negli occhi, come faceva sempre (l’unica cosa che faceva in occasione dei nostri “appuntamenti”) e pacificamente mi ha risposto: “Lo so.” (E qui, dentro di me mi son detta “Ah, però come corrono le voci in questi paesini! Tutti qua in giro sanno che io ho il diabete, neanche ce l’avessi scritto in fronte!”) Ed ha proseguito “Non preoccuparti. Nessun problema. Anch’io ho un problema di salute da parecchio tempo.” Io sono rimasta come uno stocafisso e scrutandolo ho pensato “Non pare abbia un problema di salute…ma dall’esterno nemmeno io, a pensarci bene.” Mesi dopo, in un pomeriggio d’estate, in cui c’eravamo dati appuntamento per trascorrere il pomeriggio al lago con altri amici, ed in cui io ho tirato “il pacco” perché mia madre mi ha trattenuta a casa dicendomi “Hai tutta l’estate per andare al lago”, lui è improvvisamente morto. E’ morto, tradito da quella malattia subdola, che non si vedeva. Ho provato angoscia oltre che una profonda tristezza. Con il tempo ho fatto tesoro di quei pochi incontri di innocenza ma soprattutto di quelle poche parole e della serenità che qual ragazzo ha saputo trasmettermi.
Non credo che alcuni incontri ed accadimenti della vita siano casuali. Li riconosci quelli densi di significato, quelli che ti toccano da vicino e sembrano inventati apposta per te. Quelli che sono in essere per posarti tra le mani un messaggio prezioso. E sta a noi coglierli, farli nostri, custodirli affinchè diano frutto nella nostra vita.
Ho esperito ed allenato con il tempo la resilienza e la mia grinta si è alimentata anche grazie a queste Anime che si sono presentate in vari momenti della mia vita.
Dunque, siamo chiamati ad un atto di responsabilità e di coraggio. E non mi riferisco prettamente in ambito sportivo: ognuno di noi ha vari canali preferenziali a disposizione per “crescere” al proprio interno. Noi che siamo ancora qui. C’è chi non ha avuto possibilità di scelta. Noi ce l’abbiamo la possibilità di scelta, ogni giorno, più volte al giorno e abbiamo tante possibilità per vivere una vita arricchente, in modo tutt’altro che passivo ed abitudinario.
Da ragazza, quando non riuscivo a convivere con il diabete, mi arrovellavo sul come avrei potuto trovare un mio equilibrio e vivere finalmente un’esistenza “normale”, simile a quella delle mie amiche. Nei giorni successivi la LUT, mi sono guardata indietro, al percorso che ho intrapreso dalla mia infanzia ad oggi e mi sono detta “Desideravo una vita “normale” e mi sono creata una vita straordinaria.” E non certo perché sono finisher di una LUT ma per il processo che mi ha portata alla LUT, che ha implicato un lavoro personale non indifferente, che mi ha rafforzata e liberata da convinzioni e paure limitanti ed ostacolanti per la mia evoluzione e crescita. Nei giorno precedenti la LUT mi sono chiesta perché volessi intraprendere la LUT. Credo sia importante sapere cosa ci muove in una direzione piuttosto che in un’altra, in qualsiasi ambito della nostra vita (in ambito lavorativo, nella sfera della vita privata, nello sport, ecc). Ho esplicitato che questa gara per me rappresentava coronare un sogno rispetto allo sport che pratico ma anche un “restituire”. Un “restituire”, ossia un “grazie” a tantissime persone che mi hanno non solo supportata ma soprattutto stimolata nel corso della mia vita. I miei genitori, innanzitutto. Li ho voluti con me lungo il percorso della LUT. Sono riaffiorati molti ricordi nei giorni precedenti la gara. I mei genitori, anche se convivo con il diabete da quando ero piccolissima, non mi hanno mai fatta vivere sotto una campana di vetro, sono stati loro i primi ad accompagnarmi in montagna. Il mio papà mi accompagnava ai corsi di sci di fondo quando ero alla scuola elementare. Ero anche bravina però quando arrivava il momento della garetta mi bloccavo: ero convinta di non riuscire, avevo maturato la convinzione di non farcela, di avere un corpo un po’ difettoso che non mi poteva permettere di sciare come le altre bambine. Mi ricordo che ad una di queste ultime garette alle quali avevo partecipato, in una piccolissima salita mi ero fermata, piangendo, e ero arrivata al traguardo a fatica (ultima ovviamente!). E mi ricordo la pacca sulla spalla del mio papà e il sindaco di allora, con uno sguardo empatico e carico di amorevolezza, mi aveva messo al collo una medaglia, una medaglia che io però sentivo di non meritare. Penso che nel corso della mia vita poi quella medaglia me la sono anche guadagnata. Grazie quindi al mio papà che è sempre stata una presenza preziosa e discreta e alla mia mamma che mi rincorreva con la cioccolata Milka…io comprendo tutti i genitori che hanno bambini con diabete: nel momento in cui si pratica attività fisica, si tende ad andare in apprensione, per il timore che soccomba un’ipoglicemia che, soprattutto in età infantile, spesso si fatica a riconoscere e decodificare per intervenire tempestivamente. Ringrazio Elia e Michele che mi seguono, tifano per me e che spesso sono vincolati dai miei allenamenti, dalle mie uscite: sanno quando esco ma non quando ritorno. Ringrazio la mia amica Lory che mi ha avviata alla corsa, quando avevo 18 anni. Io le dicevo “No, non riesco a correre”… per fortuna che non era nelle mie corde! Ringrazio mio fratello, Valerio, che a gennaio 2014 mi ha detto “Dai, Luisa, iscriviamoci Trail della Vigolana!” Ed io ho sorriso perché mi sembrava una cosa fuori dalla mia portata percorrere 35 km con 2500 m di dislivello, però poi mi sono iscritta e mi sono appassionata al mondo del trail. Grazie a Michele Fagnoni che nel 2018 mi ha detto “Luisa, iscriviamoci all’Adamello Ultra!” (90 km +5700 m) Ed anche lì ho sorriso…la cosa non mi pareva fattibile…ma allo stesso tempo mi attraeva… e alla fine ho deciso di partecipare! E’ andata veramente bene, l’ho vissuta bene. Un grazie al Team Diabete No Limits, in particolare a Cristian Agnoli (il Presidentissimo!), Monica Muccio, Mario Vasta, Andrea Benso, il mio amico Andrea Verzura, sempre presente, tutti i medici e amici DNL con cui ho condiviso i Camp e le sperimentazioni sul campo in questi anni. Un grazie alle mie amiche che hanno conosciuto, accolto ed ascoltato anche i miei momenti di vulnerabilità e fatica: Sara, Elisa, Monica, Barbara, Dania, Claudia, Laura, Alessandro, Andrea. E il mio amico Gianenrico, vero testimone della voglia di vivere, lavorare, migliorarsi e di correre, autentico testimone di resilienza dopo la diagnosi di tumore e di tutto ciò che in questi anni ne è conseguito.
Ho fatto tante cose nei miei 41 anni di vita ma non ho viaggiato. Amo questo sport perché passo dopo passo mi fa godere della bellezza e della potenza di tanti contesti montani ma non solo. Non ripeto mai la medesima gara: fatta una volta, assaporata in ogni Km che la caratterizza, si cambia destinazione e via! Amo questo sport anche perché mi ha fatto capire quanto sia importante, stimolante e arricchente starsene da soli, con se stessi. Da ragazza vivevo con irrequietezza i momenti di solitudine, attribuendone un’accezione negativa. Adesso i momenti di solitudine vado a cercarmeli e provo piacere quando ho la fortuna di stare sola, soprattutto se immersa nella natura.
Quindi della LUT mi rimane addosso, dentro, una sensazione davvero piacevole, si, legata alla piacevolezza e non tanto alla fatica. Non avendo esperienza rispetto a gare simili (a parte l’Adamello Ultra 90 km +5700 m, nel 2018), tutti (mio marito ed i miei genitori che sono stati il mio staff di supporto), compresa la sottoscritta probabilmente, non sapevamo bene cosa aspettarci… In 120 Km può accadere di tutto…andare male in appoggio, soffrire di stomaco facendo fatica ad integrare, accusare dolori muscolari, ecc… Mi sentivo perfettamente consapevole di quello che potevo fare, di come lo potevo fare, della possibilità di riuscire. Sono partita con la volontà di fare di tutto per portare a termine la gara e per viverla al meglio.
Ho provato forti emozioni e commozione, nei giorni precedenti la gara e in quelli seguenti. Invece durante la competizione ero in pieno possesso di me stessa: integra. Nessuna incertezza, esitazione, dubbio, tentennamento o lacrime di commozione.
Ognuno di noi è diverso: arriva ad una gara come la LUT con una preparazione diversa, con conoscenze diverse rispetto a come integrare, idratarsi, gestire la propria emotività, con aspettative diverse, con vissuti personali diversi. Tutto questo è determinante per l’esito della performances.
Personalmente, dal punto di vista agonistico, non potevo avere grandi aspettative o pretendere da me stessa più di quanto sia riuscita a fare: mi sono preparata gradualmente rispetto a distanza e dislivello ma senza dedicare tempo ed energie a lavori specifici (quelli di “qualità” come vengono spesso denominati, quelli che io evito sempre abilmente e che rimando sempre a “data da destinarsi”!) I mesi che hanno preceduto la LUT sono stati tutt’altro che rilassanti dal punto di vista lavorativo: spesso ho saltato qualche allenamento oppure ho abbreviato le uscite, tuttavia ho mantenuto fede ai “lunghi” che ho assaporato in solitudine, ho alternato sterrato, asfalto, collinari, un po’ di tutto. Una media di 4 uscite settimanali.
Io ho cercato di fare “sintesi” della mia discreta esperienza fatta negli anni: come idratarmi, integrare, affrontare le salite, le discese, il buio, il temporale, come dosare le forze, quali pensieri ed emozioni alimentare per favorire la buona riuscita di questi 120 Km. E la fatica?! In tutto questo, pensando e ripensando a com’è andata, non trovo la collocazione per la fatica. Questo sta sicuramente a significare che avrei potuto menare di più!!! Non c’è stato un momento in cui sono stata sopraffatta dalla fatica o stanchezza oppure da dolori o crampi: la motivazione, il desiderio, la bellezza mi hanno sempre sostenuta e spinta. Sono la testimonianza che chiunque ce la può fare proporzionalmente al tipo e alla qualità degli allenamenti, alla volontà di mettersi in gioco e di lavorare per il proprio obiettivo con costanza e determinazione, senza perdersi per strada.
COM’E’ ANDATA
VENERDì 25 GIUGNO:
Mi alzo e inizio a fare colazione. Michele insiste nel dire che davanti a casa c’è un tizio che passa davanti al nostro cancello, ripetutamente. A me non interessa ma Michele mi invita ad affaciarmi alla finestra per vedere… mi alzo dallo sgabello controvoglia per accontentarlo. Si tratta di tutt’altra cosa: un lenzuolo bianco, ancorato alla siepe, riporta: “LAVAREDO ULTRA TRAIL 2021 FORZA LUISA 1026” (il numero del mio pettorale). Scendo subito in giardino per osservare da vicino e capire chi sia l’artefice della sorpresa. Le mie amiche Claudia e Dania! Emozioni… Si inizia ad entrare nel clima LUT. Tempo di vestirmi e preparare le ultime cose e le due befane sono al cancello di casa: foto ricordo e bacetti porta fortuna. Arrivano anche i miei genitori, pronti ad accompagnarmi a Cortina. 9.30 si parte. Il mio staff è così composto: Michele, mamma Carla e papà Remo. Elia seguirà la mia gara dall’Isola d’Elba con zii e cugini.
Arriviamo a Cortina: ritiro il pettorale ed il paco gara, qualche foto ricordo. Tanta gente, anche stranieri. Un bel clima.
Ora c’è l’urgenza di trovare un posto in cui pranzare prima di recarci all’alloggio che ho prenotato a Carbonin. Proprio lungo la strada che porta a Carbonin troviamo un posticino carino per mangiare: io opto per carne alla griglia, verdura cruda, pane, un calice di vino rosso. Come da programma nel primo pomeriggio check in e sistemazione in un mini appartamento di un modesto residence. Con calma inizio a predisporre le mie cose per la partenza e tutto il necessario da lasciare al mio staff.
– Ore 15.00 mi rannicchio sotto le coperte per fare un riposino. Michele e mio papà escono a fare due passi.
– Ore 16.15 mi collego via meet per una riunione di lavoro che mi terrà impegnata due ore. Mi siedo sul letto, accendo il PC, cerco di rilassarmi e di essere recettiva… Dalla finestra della stanza monitoro il meteo… tardo pomeriggio si butta in acqua… Inizio nervosamente a pensare eventualmente come gestire l’inizio gara sotto la pioggia (che poi sarà qualche gocciolina, una pioggia torrenziale, un nubifragio?!…). Quali indumenti dovrò indossare e come proteggere dalla pioggia il cellulare che devo sempre avere a portata di mano per controllare l’andamento glicemico, mediante l’apposita App? Mi chiedo anche se la pioggia mi impedirà di partire, cioè se mi vedrò costretta a non partecipare alla gara. Poi azzittisco tutte le mie vocine interne e delibero: vedremo alle 23 se pioverà e, se pioverà alla partenza, partirò e strada facendo, km dopo km, valuterò se proseguire oppure se ritirarmi. E’ inutile stare a fare ipotesi… stai nel “qui ed ora”! E’ importante in ogni caso aver ben chiara un’eventuale “strategia”. Verso le 18.00 Michele e mio papà rientrano: hanno preso pioggia. Mio papà si muove un po’ nervosamente in appartamento e il silenzio generale la fa da padrona. Ore 18.15 spengo in PC. Qualche SMS con Cristian Agnoli che però non voglio tediare perché credo che ognuno debba stare soprattutto concentrato su se stesso in questo momento.
– Ore 19.00 si cena in appartamento: 1 hg di pasta con un po’ di olio crudo e grana e prosciutto cotto.
Dopo cena: ultimo i miei preparativi. Considerando il meteo mi sento indecisa rispetto al tipo di pantalone da indossare: corto oppure ¾… alla fine indosso il pantalone corto e ad ore 22 siamo tutti pronti per recarci in zona partenza. Salgo in auto. Pioviggina e sento freddo.
Troviamo parcheggio abbastanza facilmente nei pressi di Corso Italia dove è prevista la partenza. Il tempo di avvicinarmi alla start line e casualmente incontro Cristian Agnoli, sempre performante anche nel perdere la moglie nella mischia della gente…!!!
Si respira davvero un’aria di festa, mi guardo attorno con curiosità. Saluto Cristian che parte con il primo gruppo ed io e la mia famiglia ci appostiamo per goderci la partenza dei primi due gruppi (io parto con il terzo, l’ultimo). La videochiamata e la chiamata successiva di Elia…l’emozione, il suo dispiacere per non essere lì con me…quindi oltre a gestire la mia emozione, devo pure tranquillizzare mio figlio… Non ho mai assistito ad una partenza tanto trionfale: la gente, il tifo, le luci, le musiche, le parole degli speacker. Non avverto ancora l’adrenalina e l’agitazione, quella simile al pre gara dell’Adamello Ultra: all’Adamello Ultra prima di entrare in griglia sono stata colta da un senso di inadeguatezza che mi aveva provocato una crisi di pianto e insicurezza poco prima dello start. Adesso mi sento “al posto giusto, al momento giusto”. Nessuna insicurezza, nessuna lacrima di paura o emozione. Solo la grande, immensa soddisfazione e gioia di entrare in griglia.
La videochiamata di Elia che dall’Isola d’Elba è in sofferenza per non essere presente a Cortina. Il saluto ai nipotini, a mio fratello, ai cognati. Tranquillizzo Elia e taglio la conversazione. E’ il momento di concentrarmi un attimo per ascoltarmi.
Tifo da stadio per i primi due gruppi, la forza e la grazia di ogni singolo istante, suono, parola udita…e tocca a me…saluto mamma e papà, saluto Michele che mi segue tra la mischia finchè gli è possibile… ed eccomi lì…che cerco il mio posticino… ed essendo sola cerco di avanzare un pochino… di non essere proprio “ultima tra gli ultimi” e si parte, con i miei bastoncini in mano e la certezza che la LUT è già mia.
Avanzo in mezzo a Corso Italia e Michele tra il pubblico, al di fuori delle transenne, mi chiama gridando, mi volto e mi riprende con il cellulare nei primi istanti di un viaggio davvero entusiasmante. Sorrido dietro la mascherina che per l’emergenza Covid deve essere indossata nel primo tratto di gara e in prossimità di ogni ristoro.
Uscendo dal centro di Cortina, la strada asfaltata inizia a salire. Avverto il peso dello zaino ed il caldo (per fortuna che ho optato per il pantaloncino corto!) Respiro, sento l’affanno dei primi Km, nei quali cerco di correre in salita. Mi ascolto. Ora Cortina si può osservare un pochino dall’alto: capisco che è il momento di allungare i miei bastoncini, si inizia a camminare. E questo mi piace assai. Trovo il mio ritmo con facilità. Procedo silenziosa. Alcuni accennano delle battute, per smorzare la tensione della partenza, che pochi colgono ed alle quali rispondono: siamo ancora tutti abbastanza concentrati, probabilmente assorti nei nostri pensieri… Mi accorgo che in alto, tra gli alberi che svettano verso il cielo è comparsa una luna davvero grande e luminosa…questo sta a significare che le nuvole si sono diradate. E mi sento più tranquilla. Ammiro la bellezza e la maestosità di questa luna, pare voglia fare luce a tutti noi, con un grande senso protettivo. Una potenza.
SABATO 26 GIUGNO:
Alle 2 di notte giungo al primo Ristoro (18° km), la coda di gente per accedere al tendone. Mi metto in fila. Bevo ½ bicchiere di the caldo perché sento freddo all’addome, nonostante abbia indossato il gilet sin dalla partenza. Noto con rammarico le immondizie sparse ovunque nonostante i sacchi delle immondizie predisposti dagli organizzatori…neanche tanto piccoli… Riparto con la mia frontale in testa e tanto sonno addosso. Ecco, l’unica sofferenza è stato il sonno: camminare e piantando il bastoncino sentire non solo gli occhi che desiderano chiudersi ma anche il corpo che talvolta si assopisce e pare voglia mollare la presa dei bastoncini. In alcuni frangenti ho pensato di dovermi ritirare per questo motivo.
Arrivo al ristoro presso Passo Tre Croci (28° Km – ore 3.55): sembra di essere ad un rave party! Quest’aria di festa trasmette il buonumore. Anche qui rispetto la fila per accedere al banco del ristoro: davvero ricchissimo ma dal quale posso attingere poco o niente (causa celiachia). Apprezzo comunque il banchetto succulento a disposizione per i miei compagni di avventura. Gente nel prato che sosta riempendo borracce, mangiando zuppe calde e scambiando qualche parola. Oltrepasso la zona abbastanza affollata e, dopo pochi metri, decido di indossare la giacca: inizio ad accusare il freddo della notte. Più avanti il freddo si fa così pungente che indosso anche i guanti…non riesco più a muovere le dita…
– Ore 4.50: ckeckpoint a Federavecchia. Qui incrocio un mio compaesano, Francesco, partito alle 23,10 (con il secondo gruppo), che sta gareggiando in compagnia di un paio di amici. Li saluto e li lascio procedere. Subito dopo il checkpoint trovo Michele, come avevamo concordato, con un buon panino gluten free al prosciutto. Scambiamo due parole mentre mangio. Mi inietto un po’ di insulina rapida e riparto.
E’ quasi giorno, si intravede la prima timida luce del mattino. Tengo ancora la frontale accesa. Si cammina in direzione Misurina.
Arrivo al ristoro sul lago di Misurina alle ore 6.49 (42° Km): qui trovo oltre a Michele, anche i miei genitori, e nuovamente Francesco con i suoi amici. Ormai è giorno. Fa ancora freddo: non tolgo ancora la giacca. I saluti, due chiacchere e si riparte.
Si corre costeggiando il lago per poi risalire verso il rifugio Auronzo. Qui soffro nuovamente di veri e propri colpi di sonno. Camminare in modo ritmato, in solitudine e silenzio, non aiuta.
Finalmente conquisto l’Auronzo (50° km – ore 8.29): ritrovo Francesco e compagnia bella. Qualche foto assieme e arriviamo chiaccherando alla Forcella Lavaredo. Il cielo di un azzurro intenso, il sole splende e le rocce hanno un colore che sprigiona calore. Osservare lo splendore circostante ricarica: sparisce il sonno e l’energia aumenta. Mi stacco dal trio di amici ed inizio la discesa che affronterò in solitaria verso il lago di Landro. Poco dopo la Forcella Lavaredo, i concorrenti della 80 Km si immettono nel nostro percorso: vedo passare Cristian Modena e Martina Valmassoi. Bello ammirare la loro destrezza in discesa!
In fondo alla lunga discesa trovo Michele ed i miei genitori (60° km circa). Sono affamata. Accetto ½ panino al prosciutto. Li rivedrò a Cimabanche. Percorro un tratto “corribile”…io alterno la camminata ad una blanda corsetta. Mi commuove inaspettatamente, per una frazione di secondi, il tifo di un signore, poco prima del ristoro, che mi incita e mi scava negli occhi.
Ore 11.49 (67° Km) sono a Cimabanche (ho guadagnato diverse posizioni dal Rifugio Auronzo): punto di ristoro molto affollato. Infatti qui ci sono molte persone che prestano supporto ai concorrenti. C’è anche la mia famiglia, appostata sul prato con una coperta. Mi siedo. Ecco, qui mi consento di sedermi e mangiare una bella porzione di pasta fredda condita con olio crudo, grana e prosciutto cotto (la pasta gluten free fredda confermo che fa alquanto cagare ma per la fame va bene tutto, “anche le suole delle scarpe”!) Cambio calzini e scarpe bagnati ed infangati lungo le sponde del lago di Landro.
Si riparte e prima di giungere a forcella Lerosa incontro Milena, conosciuta ad un’altra competizione qualche anno prima, che sta percorrendo la 80 Km. Qualche chiacchera e poi la esorto a non mollare il suo passo: io desidero procedere con più cautela, avendo più Km da affrontare. La saluto e, raggiunta Forcella Lerosa, scendo a Malga La Stua (76° Km – ore 13.32). Oltrepasso abbastanza velocemente il ristoro dopo aver riempito le mie borracce.
Si scende a Pian de Loa, per poi risalire la Val Travenanzes. Questo lungo tratto per molti ha rappresentato una sorta di “Via crucis”: una lunga valle in salita. Ho visto gente togliersi lo zainetto e posizionarsi in modalità meditativa lungo il sentiero. Ho visto gente fermarsi priva di forze. Ho visto gente esortarsi a vicenda. Ho visto tanta gente muta. Anch’io ero muta. Lunga è stata lunga, non lo nego. La mia strategia è di procedere sempre con passo lento ma costante. Evito le soste. Anche in questo caso mi fermo per rifornirmi di acqua al checkpoint di Malga Travenanzes (89° Km circa – ore 16.37), dopo aver attraversato il rio Travenanzes svariate volte…immersioni di tutta gamba nell’acqua gelata…davvero rigenerante!
L’obiettivo è arrivare al Rifugio Col Gallina dove mi attende una cena succulenta: la solita porzione di pasta gluten free! Arrivo in vetta alla Forcella Col dei Bos dove è collocata una tenda del soccorso alpino. E inizia la discesa. Più mi avvicino al Col Gallina e più il la discesa si fa corribile. Mi sento felice. La felicità si amplifica quando vedo il mio amico Andrea lungo il percorso: l’emozione, l’abbraccio. “Andrea, però puzzo tanto!” Ma a lui non importa. Mi aveva detto che sarebbe venuto a farmi il tifo. Aveva concordato con Michele di attendermi in quel tratto di gara. I miei occhi lo stavano cercando già da qualche Km! Mi chiede come sto, se ho bisogno di qualcosa. Lo rassicuro che sto bene e che ho tutte le mie scorte nello zaino. Corriamo assieme fino al Rifugio Col Gallina (94° km – 18.31). Altra sosta, seduta sulla coperta, pasta gluten free con olio crudo, grana e prosciutto cotto. Esplicito che per diverso tempo non mangerò pasta in bianco e prosciutto cotto… Qualche foto ricordo con Andrea, saluto alcuni amici del gruppo Gente Fuori Strada, supporters di alcuni compagni di squadra e poi via…e qui mi illudo che la fine della gara sia ormai vicina! Ah ah ah!!!
Mi incammino verso il Rifugio Averau: sono ancora in forze, infatti nel risalire guadagno qualche posizione. Assaporo la bellezza dei luoghi che mi conducono al Rif. Averau (97° Km – ore 19.44): bevo un po’ di the caldo, riempio le borracce d’acqua e indosso la giacca (siamo a quota 2413m). Inizia la discesa, oltrepasso alcune donne che appaiono più affaticate e prudenti.
Con leggerezza arrivo a passo Giau (103° Km – ore 20.37). Trovo in prossimità del ristoro Michele, mio marito, e anche mio papà. Il mio papà vedendomi correre e al contempo sorridere, gaiarda e nel pieno delle mie forze, alza le braccia al cielo e piangendo, commosso, mi incita “Brava, Luisa! Brava!” Prendo consapevolezza che sto davvero bene, ho buone sensazioni, mi sento felice, davvero tanto e sento ancora parecchia energia in circolo. Mi pare un buon segnale. Mi sento lanciata a conquistare Cortina!
Si risale a Forcella Giau: si accusa la fatica di altra salita. Si rallenta il passo. Si rimette la frontale. Ormai è sera.
E poi si corricchia verso Rifugio Croda del Lago (108° km – 22.24). Dai che è finita! Unico ristoro al quale non ho sostato.
Inizia a piovere. Ma penso che ormai il più è fatto. Quando mi rendo conto che non sono due gocce d’acqua ma sta arrivando un vero temporale, proteggo il cellulare sul quale tengo monitorata la glicemia, nell’apposita custodia impermeabile, tiro su il cappuccio della giacca ed inizio a correre, incitandomi a non rallentare. Tuoni, lampi… inizio a spaventarmi nel momento in cui i lampi illuminano il bosco come fosse giorno… tanti tuoni… tanti lampi… e poi un’acqua torrenziale. Non i lascio sopraffare dalla paura “Scendi!” Sono sempre una frana in discesa ma vi assicuro che non ho mollato un mezzo minuto, ho oltrepassato gruppetti di persone che tentavano come me di non cadere in mezzo a sentieri fatti interamente di fango. Scendo e inizio a intravedere le luci di Cortina. Ma Cortina pare sempre distante. La pioggia inizia a cedere.
E poi Cortina si avvicina e quando dall’alto vedo il campanile della Chiesa inizio a correre, a superare compagni di gara e correre. E il campanile pare sempre più vicino e più si avvicinava e più corro.
Mi avvicino alle prima case di Cortina, finchè non vedo più il campanile che per me era diventato un “faro”. Ho un concorrente alcuni metri avanti a me, non vedendo più le balise color arancione gli grido “Scusa, ma siamo giusti per di qua???!!!” Mi pareva assurdo sbagliare strada a pochi metri dall’arrivo. Questo mi rassicura “Si, siamo giusti!”
E il campanile mai si vede e io corro…inizio ad essere stanca di correre ma non mi fermo. Su una curva vedo Michele, un’istante di cattiveria mi incendia “Dove cazzo è sto campanile?! Non lo vedo più!” Michele mi rassicura “Svolti, fai una piccola salitina e sei in Corso Italia. Corro. Corro anche quell’ultimo pezzetto di strada asfaltata in salita e penso “Ma io mi drogo! Come faccio a correre così?! Ma che figata!” Mi sento un sorriso gigante stampato in viso ma soprattutto dentro: sorrido tutta! Corro lungo Corso Italia. Nonostante il forte temporale ci sono ancora persone affacciate sulla strada e fuori dai bar che incitano, battono le mani, tifano forte. C’è anche la mia mamma, c’è anche il mio papà e io corro, corro, sollevando in aria i miei bastoncini con aria di vittoria. Taglio il traguardo. Pochi passi e mi appoggio alla transenna per assicurarmi di non aver esagerano con quel correre nel finale! Sono intera, con i capelli arruffati: ecco mi rimprovero di non essermi pettinata per la foto da finisher…!!!
L’abbraccio e le foto con la mia famiglia, la telefonata con Elia che ha seguito la gara dall’Isola d’Elba con zii e cugini, il saluto con gli amici di Gente Fuori Strada, presenti in zona arrivo.
Sono salita in auto infreddolita, desiderosa di bere una tisana calda e di fare una doccia bollente.
Poi a letto. Ho dormito serena.
METABOLICAMENTE (con il contributo tecnico e para-scientifico del Presidentissimo 🙂 )
Non sono soddisfatta della gestione metabolica. Ero molto soddisfatta della gestione alla Chianti Ultra (maggio 2021 – 73 Km +2700m).
Per quanto riguarda la mia LUT c’è molto sul quale confrontarsi: molte cose che avrei dovuto fare diversamente e sulle quali devo riflettere per affrontare meglio future esperienze analoghe.
TRESIBA 15 U
HUMALOG colazione 1:15, pranzo 1:12, cena 1:12
USO DEL SENSORE PER IL MONITORAGGIO CONTINUO DELLA GLICEMIA DEXCOM G6
TOTALE ATLETI ALLA PARTENZA: 1182
- FINISHER 835
- RITIRATI 347
LUISA CAMPREGHER IN CLASSIFICA:
tempo impiegato: 24 ore e 28 minuti
59^ donna su 100 arrivate
534^ su 835 atleti arrivati (M/F)
117^ su 245 atleti partiti (M/F)
DOMENICA 27 GIUGNO:
Sono sveglia prima delle 8. Riattivo tutte le App del cellulare e con calma inizio a leggere SMS e a rispondere a ciascuno di essi, ad amici e parenti.
Liberiamo l’appartamento e torniamo a Cortina: voglio salutare Cristian Agnoli e la moglie, Monica.
Poi apertivo e brindisi in Corso Italia.
Pranzo in Val Casies e poi si rientra a casa.
In serata ritorna dall’Isola d’Elba anche Elia con cugini e zii…arrivano con un lenzuolo appeso ai finestrini: “Mamma sei fortissima!”
“CHE COSA SAREBBE LA VITA SE NON AVESSIMO IL CORAGGIO DI FARE TENTATIVI?” (Vincent Van Gogh)
Ho ricevuto tantissimi cari messaggi di affetto, prima e dopo la gara. Uno di questi messaggi è di Renzo, il più caro amico del mio papà che mi conosce da sempre e che mi ha descritta in questo modo:
“Delicata come en bel fior… dura e forte come en croz…” (“Delicata come un bel fiore…dura e forte come una roccia…”)
Grazie a tutti, ancora una volta. Luisa