Diabete di tipo 1, insulina e doping … facciamo chiarezza!

T1 Insulin is life, not doping! • 10 luglio 2018 by Doc Mario Vasta

Diabete di tipo 1, pratica sportiva agonistica, ruolo dell’insulina e questione doping.

A cura del prof. Mario Vasta (Urbino)

 Mario Vasta: medico endocrinologo, medico dello sport e dietologo, runner con maturata esperienza negli sport di endurance e al seguito di atleti con diabete tipo 1

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L’atleta con diabete di tipo 1 (DM1) oggigiorno è a tutti gli effetti equiparabile a qualsiasi altro atleta “sano”, come sempre più confermato dalla letteratura scientifica di settore e dai risultati sportivi.
Tuttavia per molto tempo e per molte persone, medici e addetti ai lavori inclusi, il diabete tipo 1 è stato considerato una forte limitazione alla pratica dell’esercizio fisico, esponendo di fatto il paziente al rischio di ipoglicemia anche grave in caso di attività di tipo aerobico prolungato o di severa iperglicemia in caso di sforzi di elevata intensità che innescano la liberazione di ormoni da stress.

Per fortuna negli ultimi 15-20 anni le cose sono cambiate, anche a livello di disponibilità di farmaci e tecnologia. Sono passati i tempi dello sport vietato o sconsigliato prima, o praticato solo se con prudenza e a basse intensità poi: ora l’atleta con diabete di tipo 1 può competere a qualsiasi livello il proprio talento gli consenta.

Associazioni scientifiche o di persone con diabete (ANIAD per citarne una) hanno sdoganato lo sport nel mondo del diabete, anche se spesso con iniziative e gare sportive “riservate” agli atleti DM1, che comunque tendono implicitamente a caratterizzare la condizione diabetica nello sport con classifiche, trofei e campionati dedicati.
Ciò anche se il Diabete di tipo 1 non è riconosciuto in alcuna categoria “paralimpica” e il diabetico tipo 1, vivaddio, può liberamente schierarsi in griglia di partenza di gare di ogni tipo a livello agonistico, sia in modalità amatoriale sia professionistica, con gratificazioni e risultati uguali alla persona non diabetica.
Quindi abbiamo assistito in questi anni al passaggio dalla condizione dello sportivo con diabete di tipo 1 da pseudo “handicappato” ad atleta con diabete e ora finalmente, parrebbe, semplicemente atleta, che compete in campo aperto alle stesse regole di tutti gli altri.

Marco Mangiarotti, triahtleta DM1

Questo vale anche per la questione “doping” cui l’atleta con diabete di tipo 1, attenzione, NON è implicitamente esentato.
La WADA (World Anti Doping Agency) considera doping l’uso di insulina, che appartiene alla categoria proibita degli “ormoni e modulatori metabolici”.
All’atleta con DM1 impegnato in attività agonistiche è richiesto il cosiddetto TUE (esenzione a fini terapeutici) che va inviato alla NADO Italia, ovvero l’agenzia nazionale per l’antidoping con sede a Roma presso il CONI.

Con questo articolo, vorremmo fare chiarezza soprattutto sull’effettiva “funzione dopante” dell’insulina, e di presunti vantaggi, in quanto siamo arrivati al punto che quando si vede ottenere un buon risultato a livello agonistico da un atleta diabetico tipo 1, cosa che per fortuna capita sempre più spesso anche nelle discipline di endurance, invidia e ignoranza possono alimentare ingiustificati sospetti e battutine di cattivo gusto.
Ricordiamo che la persona con diabete tipo 1 può vivere solo iniettandosi quotidianamente insulina e la mancata somministrazione porterebbe alla MORTE del soggetto nel giro di pochi giorni/settimane a seconda dei casi.

L’insulina viene utilizzata illegalmente per la sua capacità potenziale di aumentare il trasporto di carboidrati e di aminoacidi all’interno del muscolo e quindi facilitare e velocizzare sia il reintegro di glicogeno muscolare (e quindi il recupero), sia la sintesi proteica all’ interno del muscolo.
Va detto che nella persona sana il limite non è nella produzione di insulina, ma semmai nella capacità dell’intestino di assorbire carboidrati e aminoacidi oltre una certa quantità/ora .
Chi si dopa con insulina deve perciò anche ricorrere alla somministrazione endovena di carboidrati e aminoacidi, affrontando quindi una serie di problematiche tecniche piuttosto complesse.

In alcuni casi la dose di insulina praticata è deliberatamente “eccessiva” al fine di provocare una “ipoglicemia” con conseguente liberazione di ormoni “controinsulari” tra cui il GH (ormone della crescita). Sono riportati casi in cui il dosaggio di insulina praticata raggiungeva le 300 unità, contro le 20-50 unità di media che un atleta DM1 si somministra per vivere!
Va poi detto che l’insulina, soprattutto se somministrata in eccesso, fa accumulare anche “grasso” e non solo glucosio, come ben sa il diabetico tipo 1, che proprio per questo cerca di ottimizzare e “minimizzare” il suo dosaggio di insulina quotidiano!
E’ per questo che chi “si dopa” deve ricorrere all’uso di altri ormoni, tipo GH o steroidi anabolizzanti per contrastare questo effetto e ad altre sostanze “mascheranti” per non essere scoperto!
Anche se l’insulina viene usata come “doping” soprattutto in certi ambienti come quello del Bodybuilding, i reali vantaggi sono da dimostrare e soprattutto il suo utilizzo è davvero piuttosto complicato.

E’ di cruciale importanza però comprendere il ruolo dell’insulina “durante” la prestazione sportiva, in particolare nell’ endurance (ciclismo, nuoto o corsa su lunghe distanze, triathlon ecc.)
Quando affronta un allenamento o una gara di endurance, l’atleta NON diabetico può contare sulla raffinatissima capacità dei suoi sistemi di controllo ormonale che regolano con precisione la riduzione dei livelli di insulina, una adeguata produzione di ormoni controinsulari (glucagone, catecolamine, cortisolo…), un eventuale aumento di insulina per contrastare un eccesso di ormoni da stress o una abbondante integrazione con carboidrati in maniera tale che la sua glicemia si mantiene sostanzialmente a livelli “ideali” per tutta la durata dello sforzo, consentendogli un rifornimento ottimale di “carburante”( glucosio, acidi grassi…) ai suoi muscoli.

L’atleta diabetico tipo 1 deve invece programmare in maniera minuziosa i dosaggi di insulina da iniettarsi prima, durante e dopo la prestazione sportiva, deve sperimentare i livelli di integrazione con carboidrati (Quali? Quanti? Quando?) che gli consentono di non andare in ipo o iperglicemia.
Sa che se fa appena poco più dell’insulina necessaria i suoi muscoli non riceveranno più gli acidi grassi necessari dal tessuto adiposo, che il suo fegato non libererà glucosio, che i suoi muscoli capteranno più glucosio e rapidamente si ritroverà senza forze ed in ipoglicemia!
E sa che se invece fa appena meno dell’insulina necessaria, non entrerà abbastanza glucosio nei muscoli, la glicemia salirà pericolosamente e i suoi muscoli non avranno carburante per lavorare!
La gestione è complessa e l’atleta con diabete di tipo 1 deve imparare a considerare tutte queste componenti, oltre alla gestione dello sforzo e della performance nella disciplina praticata (sport individuale, di squadra, di destrezza etc.).

Sono talmente tante le variabili in gioco che raramente, nonostante la disponibilità di tecnologie innovative, sensori, microinfusori, algoritmi vari, un diabetico tipo 1 potrà fare una gara di endurance senza avere qualche picco di iperglicemia o momenti che rasentano la franca ipoglicemia.
E tutto questo non andrà certo a vantaggio della sua prestazione finale!
Anzi, comporta una grande richiesta di energie mentali e concentrazione per poter gareggiare alla pari e ottenere i risultati e le gratificazioni desiderati, costruiti nel tempo con allenamento e impegno.
Se vogliamo fare un paragone immaginate di vedere Tazio Nuvolari schierarsi in griglia con la sua Alfa tutta comandi manuali e zero elettronica e superare i supertecnologici bolidi di Hamilton, Raikkonen, Vettel!

E’ solo la sua profonda esperienza basata sulla conoscenza della fisiologia e delle risposte del proprio organismo, sui ripetuti tentativi, errori e correzioni che consente all’atleta con diabete tipo 1 di portare a termine, anche con risultati di valore assoluto, prestazioni sportive nelle varie discipline, incluse quelle di endurance estremo (ironman, ultratrail, gran fondo ciclistiche, etc.)
La determinazione, la tenacia, l’intelligenza e la resilienza, la bravura nel gestire terapia insulinica e alimentazione, oltre ad allenamento e talento, sono l’unico mezzo che consente al DM1 di raggiungere il proprio obiettivo, sia quando si tratta di essere semplicemente “finisher” in una maratona, sia quando si riesce a salire sul podio in un triathlon!

Altro che doping da insulina: il diabetico tipo 1 per gareggiare deve saper gestire “manualmente” quel complesso e accurato sistema di controllo del metabolismo energetico durante l’esercizio che madre natura ha dato “completamente automatizzato” a chi il diabete non ha!

Speriamo di aver sgomberato dubbi su presunti vantaggi dell’atleta con DM1 in quanto tale derivanti dalla somministrazione giornaliera di insulina.

#Il commento dell’allenatore
di Huber Rossi (Piacenza), atleta, allenatore-preparatore, responsabile valutazione funzionale Marathon Center Brescia

Negli sport di endurance le variabili che possono incidere sulla prestazione sportiva sono numerose e difficili da controllare.
Qualsiasi runner, triathleta o ciclista sa che per rendere bene in gara dovrà curare diversi aspetti:

  • ALLENAMENTO: bilanciare nel modo corretto gli stimoli fisici miscelando allenamenti che utilizzano principalmente gli acidi grassi ad allenamenti che stimolano in modo massivo l’uso delle scorte di zuccheri/glicogeno;
  • ALIMENTAZIONE: curate il giusto mix di CHO, grassi e proteine e il timing di assunzione in funzione della tipologia e durata degli allenamenti e della gara;
  • STRATEGIA: gestire nel modo corretto l’intensità della prestazione evitando di bruciare anticipatamente le riserve di glicogeno muscolare ed epatico.

Come si potrà notare il successo in determinate prestazioni sportive è molto complesso e non è basato solo sulle capacità fisiche innate dell’individuo.
Per diversi anni come allenatore ho avuto la fortuna di seguire atleti con e senza diabete di I° tipo, l’unica vera differenza tra queste due tipologie di sportivi è la somma di fattori che devono essere analizzati nello sportivo con DMT1.
Ogni punto assume una difficoltà maggiore, nello specifico:

  • ALLENAMENTO: lo stress a cui viene sottoposto l’organismo di un’atleta con DMT1 è maggiore, spesso a causa del controllo glicemico non perfetto lo svuotamento energetico è superiore e il recupero delle riserve energetiche più lento, tutti questi fattori influiscono negativamente sul miglioramento della condizione fisica e della performance.
  • ALIMENTAZIONE: è più difficile per lo sportivo con DMT1 gestire la corretta alimentazione sia nelle fasi di recupero, sia direttamente nell’attività fisica. Oltre al timing integrativo in funzione dell’allenamento la presenza di diabete di I° tipo obbligherà lo sportivo ad aggiustare i CHO in funzione dei livelli glicemici portando ad un fattore aggiuntivo complesso da gestire.
  • STRATEGIA: il giorno della gara l’atleta con DMT1 dovrà gestire il ritmo corretto per la distanza scelta e l’integrazione/alimentazione ideale (fattori che presentano già un alto grado di difficoltà e individualità), oltre a questo dovrà valutare i livelli di insulina e un’ulteriore approfondimento della curva glicemica e degli integratori glucidici da assumere per evitare ipo o iperglicemie.

Da questa breve analisi si può notare come il possibile vantaggio dato dall’assunzione di Insulina sia trascurabile mentre le difficoltà incontrate molto superiori rispetto ad un’atleta senza il diabete.

Lo sportivo con diabete di I° tipo ha sicuramente una marcia in più che non è rappresentata da nessun vantaggio fisico ma bensì da una grandissima forza mentale allenata attraverso le difficoltà.

#Postilla di tipo 1
di Cristian Agnoli (Verona)
presidente Diabetenolimits, atleta con diabete di tipo 1 e possessore di TUE Grant fino al giugno 2021

Dal punto di vista legale/formale, l’atleta DM1 è tenuto a inviare tutta la complessa documentazione per l’esenzione terapeutica alla Nado Italia e solo dopo viene concesso il “grant” per la durata di soli 5 anni: tutto ciò anche se si tratta di “farmaco a vita” (non esiste cura per il diabete), senza alternative (non ci sono farmaci analoghi non dopanti) e con diagnosi inoppugnabile certificata dal Sistema Sanitario Nazionale, a referto con tanto di esenzione e che compare sui terminali degli ospedali quando prenoti una qualsiasi prestazione specialistica (per approfondire la questione vedi articolo del 2016 su sito Diabetenolimits).

facsimile di un TUE rilasciato ad atleta con diabete di tipo 1

Rileviamo una situazione decisamente paradossale della normativa antidoping.
Da una parte, in punta di diritto, l’atleta con DM1 é “dopato” per definizione in quanto utilizzatore di insulina (anche se per “sopravvivere”), e, per fare attività agonistica in regola, anche amatoriale, dovrebbe farsi rilasciare il TUE per essere “al di sopra di ogni sospetto”; dall’altra il diritto alla salute e alle migliori cure oltre al diritto inalienabile della persona con diabete a fare sport con i relativi benefici universalmente accettati, in primis come via per meglio gestire e accettare la patologia.

Anche solo dal punto di vista burocratico diventa una via difficile fosse solo per il fatto che se tutti noi DM1 adempissimo, impediremmo di fatto alla Nado Italia di svolgere il proprio compito per tutti gli altri atleti richiedenti un’esenzione terapeutica: : in Italia ci sono infatti circa 200.000 persone con diabete di tipo 1 … almeno qualche migliaia di questi praticano sport che rientrano nell’ambito del CONI e dunque sottoposti indipendentemente da livello (adolescenti, amatori, professionisti, élite) alla normativa antidoping.

Questo articolo non vuole essere polemico, ma auspicabilmente chiarificatore di una situazione per lo meno ingarbugliata che andrebbe risolta o semplificata, viste anche le conseguenze amministrative (…e penali?) che, anche nella migliore delle ipotesi e benevolenza per il caso “diabete di tipo 1”, la persona trovata positiva a un controllo antidoping si troverebbe ad affrontare e di cui la già complessa gestione della patologia diabetica di certo non ha bisogno.

Per ottenere tutto ciò ci vorrebbe una presa di posizione forte da parte dei campioni dello sport con diabete di tipo 1 del presente e del passato, ma soprattutto delle tante associazioni nazionali di pazienti e medici che si occupano di diabete, e dei medici sportivi che con il CONI, cui la Nado Italia fa riferimento, sono in stretti rapporti.

Noi nel nostro piccolo ci stiamo provando!