BVG 2017

8 aprile 2017 • Cristian Race Report

BVG Trail 2017 • 8 aprile
Salò – Limone 75k 4400d+

“Una BVG alla cieca!”
Report di Cristian Agnoli, 45 anni, DM1 classe 2005, VR

Undici ore e quaranta di gara. Tempo previsto, anche se speri sempre in qualcosa di meglio.

Preambolo del Paraculo
L’autunno inverno 2016 2017 non è stato il massimo per la salute. Una broncopolmonite “fredda”, dunque non avvertita e ivi diagnosticata e curata in ritardo mi ha bloccato per quasi due mesi:
20 giorni per capire perchè mi allenavo male e 40 giorni di stop e relative dose da cavallo di antibiotici.
Morale della favola: tappeto persiano e tutti i miei propositi di riuscire a fare una “bella preparazione invernale” svaniti.
Ho ripreso a camminare a fine gennaio e a corricchiare ai primi di febbraio.
Avevo calendarizzato la BVG ancora prima della polmonite dunque oramai ero iscritto e non sia mai di farmi spostare sulla distanza più breve.
Con 8 settimane di preparazione ovviamente non avevo pretese, o meglio, già stare sulle gambe per tutti quei chilometri e dislivello positivo senza finire bollito era PRETESA forse audace.
Preparazione dunque “ristretta e concentrata”. Sono però arrivato a correre anche 90-100 km a settimana. Non poco in così poco tempo, infilando, tra l’altro, tre lunghi consistenti da 4h30, 6h e … 9h30 con 3200d+. Tutti completati anche se con fatica e calo prestazionale nel finale. Unica nota positiva? Il recupero. I giorni successivi correvo e pedalavo con piacere, senza sentirmi più di tanto affaticato, e sono riuscito ad inserire, udite udite, anche qualche allenamento di qualità in forma di fartlek, giusto per ricordare a cuore e gambe che la velocità esiste ancora. Le ripetute no, quelle non ancora. Ma arriveranno!
Inutile “illudersi e sognare”, cosa assai faci per tanti motivi nel trail: cercando di essere pragmatico e illuminato, avevo immaginato dentro di me di poter chiudere in una forbice di tempo tra le 11 e le 12 ore, e in caso di “piccolo miracolo”, toh, 10 ore e 59 minuti e 59 secondi.
Ovviamente poi quando parti, anche senza pretese, speri nel “piccolo miracolo” e su quello basi il ritmo. A parole dunque faccio il saggio, ma nei fatti azzardo un po’, anche se si tratta di “politica del rischio calcolato”.

 

Equipaggiamento
Cardiofrequenzimentro allacciato, Garmin Epix regolato, zaino Mammut 5 Lt ottimizzato con integratori e materiale obbligatorio. Calzature: mi sono affidato alle Hoka Mafate Speed 2 utilizzate durante la preparazione invernale (e sfatando il tabù per il drop 4 mm) e più collaudate sulle lunghe distanze. Abbigliamento leggero e monostrato: pantaloncino sgambato e maglia 6 tasche Compressport. Cappellino con visiera. Manicotti in partenza giusto per i primi 10 minuti.
Quest’anno non ho commesso gli errori di equipaggiamento dello scorso anno (zaino che mi comprimeva la cassa toracica e abbigliamento vintage caldo e inzupposo).
Niente bastoncini. Troppi tratti corribili. Salite a mio avviso non così tecniche e dure da richiederne l’utilizzo a meno di “profonda crisi”.

La gara
Notte di merda con sonno disturbato, o meglio, vigile. Non ho chiuso occhio. Evidentemente sentivo l’agitazione e il cervello non smetteva di lavorare. A 45 anni mi agito ancora. Un po’ mi consola, nel senso che sono ancora un ragazzino dentro strabordante di entusiasmo; un po’ mi preoccupa, perchè con l’esperienza maturata dovrei essere più “tranquillo e sereno”.
Sveglia di buon’ora (4h10) ma logistica e orari di partenza la rendevano inevitabile.
Viaggio in ottima compagnia dei miei compagni VTR Gine e Sandra.
Partenza senza neanche il tempo di preoccuparsi, visto che siamo arrivati in griglia tre minuti prima dello start. Quattro chiacchiere con l’amica Lisa Borzani e il Paolo, e saluti ad altri amici VTR in zona.
Condotta prudente con occhio alle frequenze cardiache, stavolta vero e rigoroso.
Nei primi 30 km corro assieme a Paolo Pajaro e al VTR Cresta. Non forzo mai. Provo la gamba un attimo sullo strappetto di Gaino, ma giusto un paio di minuti. Le frequenze cardiache rilevate (max 161) mi dicono che non ho fatto lo scemo.
Passaggio a Gargnano in 2h48, ben 15 minuti più lento dello scorso anno. Bene, ma dovevo andare ancora più lento.
Buone sensazioni nella salita alla Baita degli Alpini (800 d+) senza forzare e lasciandomi staccare dai miei compagni delle prima metà di gara.
Discesa del Luf in terzetto con Cresta e Gine, recuperati.
Sempre di conserva, sempre dietro. Ma non è abbastanza. Dovevo andare ancora più lento.
Tra il 40° e il 50° km devo rallentare e faccio fatica in salita dove non riesco a spingere. Gambe vuote.

Vengo recuperato anche da Emanuele e dunque da Sandra con la quale affronto la risalita dalla forra di Campione. Poi la invito ad andare del suo passo, senza timore, salendo a Bocca di Nevese.
Mi riprendo un po’ appena scollinato e arrivo pimpante all’ultimo ristoro, convinto di portare a fondo la gara in “scioltezza”.
Ma niet, subito dopo il ristoro di Ustecchio, dopo i primi 100 mt di dislivello le gambe non spingono e arranco. A nulla servono le aumentate integrazioni.
Raggiungo il Bestone stanco ma lucido, in grado di segnalare urlando al 2° in classifica della gara corta che aveva sbagliato strada. Mi deve una birra!
Poi mi trascino tra sentieri e macereto, riuscendo a corricchiare decentemente solo nei tratti piani (pochissimi).
Nella discesa finale perdo i quadricipiti e dunque pur ritrovando un po’ di forze non ho più i muscoli in grado di sfruttare le forze residue. Anche psicologicamente non ho più stimoli a forzare.
Riscopro frugale brillantezza nel finale, ma proprio negli ultimi 500 metri, quando sento le urla dei miei bambini che mi corrono incontro e vogliono finire con me. Non li avevo mai visti correre così felici per così tanto tempo e soprattutto partecipi alle mie attività di corsa. Tifosi speciali.
Gioia che mi ricompensa della fatica fatta e dei dolori muscolari inevitabili a fine gara.
Il piccolo miracolo in gara non l’ho fatto: ho concluso onestamente una prova per cui non avevo sufficiente preparazione. E io se non mi alleno non vado. Purtroppo la genetica e il talento contano troppo e io non ne dispongo di quantità adeguata per “vivere di rendita”. Dunque appena non mi alleno a sufficienza, i miei muscoli e i miei mitocondri si assopiscono e quelli che hanno più o pari talento, vanno molto più forte. Amen.
Sono però orgoglioso dei miei due piccoli miracoli di 3 anni e 4 anni e mezzo che felici e giocondi mi hanno atteso e accompagnato al traguardo.
Beniamino però si è lamentato perchè non ho vinto 🙂 Ma non erano i genitori a mettere sotto pressione i figli quando fanno sport?

Metabolicamente:

Da novembre ho modificato la mia terapia e sono passato in Degludec dopo 10 anni di Detemir.
L’inverno mi doveva servire per studiarmi un po’ di più, ma alla fine lo stop per polmonite non mi ha permesso di osservarmi a fondo come avrei desiderato e come so fare.
Ultima glicata 7,2 (prima del cambio di terapia), sicuramente abbassata visto i diari degli ultimi 3 mesi, ma all’ambulatorio di Caprino Veronese dove sono seguito la glicata è fissata per il prossimo 24 maggio.
Valutando stato di forma, consumi energetici nei tre lunghi fatti e ritmi sostenibili, ho impostato una integrazione sui miei standard storici in trail lunghi … alla fine, guardando la tabella, 0,6 è esattamente la stessa integrazione pro kg pro ora della mia UTMB 2013 e di altre gare o uscite lunghe di allenamento.
Non trattandosi di “prova in massimizzazione di performance” posso dire di aver adeguatamente integrato, anche alla luce delle frequenze cardiache medie (131 bpm), ma forse dovevo mangiare di più e meglio. In realtà avevo un po’ di barrette e vecchi integratori da smaltire e ho utilizzato non le cose che preferisco assumere (polveri di maldodestrine disciolti in acqua) ma barrette e gel di marche diverse, oltre a qualche paninetto.
Il dettagliato BVG BOOK elenca tutte le integrazioni in termini di cho e tipologia, la somministrazione di basale e i boli ai pasti (Durante l’attività fisica sono andato di “basale”… basta e avanza)
Guardacaso in questo diario di gara di persona con diabete di tipo 1 mancano le … glicemie.
Nel pregara (tenendo buone le rilevazioni del sensore) nonostante bolo generoso al risveglio non sono riuscito ad evitare l’iperglicemia nelle due ore successive. Stress fisiologico, errore di alimentazione (indice glicemico?) o debbo cambiare qualcosa nei miei conteggi?
Il mancato funzionamento del sensore, e successivamente la perdita del glucometro dalla tasca di sicurezza (non proprio di sicurezza quindi), mi hanno impedito di verificare il profilo glicemico, e dunque ho proceduto alla cieca integrando secondo esperienza e supposte necessità, fermo restando che ero ben basalizzato e che dovevo rifornirmi con la più efficiente fonte di energia ovvero i CARBOIDRATI, capito? CHO, cì acca ò! Cì acca ò! Con o senza diabete! E poi sperare nelle capacità del mio metabolismo di miscelare grassi e zuccheri per fornire energia ai muscoli.
E’ vero che sostengo da tempi non sospetti che la gestione delle integrazioni deve essere “fisiologica” (ovvero adattata ai consumi energetici e non alle glicemie e casomai adeguare la terapia ai consumi e non i consumi alle risposte metaboliche) ma non arrivo a incoraggiare la corsa alla cieca.
Ritengo di aver commesso alcuni errori (veniali, ovvero evitabili ma che fanno parte del gioco): in particolare dopo il 50° km, quando mi sono ripreso e ho cominciato a far girare le gambe (in gara da tante ore, tanto d+, muscoli affamati, ritmo aumentato = maggiori consumi, con o senza diabete di tipo 1) bene avrei dovuto integrare di più e/o meglio (+ maltodestrine) e ritengo anche di essermi fatto sorprendere da una lieve tendenza ipoglicemica nel finale. Negli ultimi 4 km (discesa) ho assunto 35 gr di cho (veloci) scendendo come una lumaca. A fine corsa avevo 112 mg/dl. Significa quasi sicuramente che ero “bassino” altrimenti mi sarei ritrovato a 200 mg/dl.
In tal senso, una misurazione affidabile avrebbe potuto aiutarmi nel capire meglio il timing delle integrazioni. Diciamo che mi sono organizzato male io (non avevo glucometro di scorta), ma aggiungiamo anche che lo stato attuale del monitoraggio in continuo non è all’altezza delle aspettative e delle necessità degli atleti con diabete di tipo 1. Troppi errori, troppi tilt, troppe rilevazioni difformi, troppe variabili che invece di aiutare, complicano invece di semplificare. Dunque a questo punto meglio andare alla cieca? Ovviamente no, però se hai fatto i compiti a casa puoi star fuori 11h30 per montagne e sentieri impervi e giocartela, finendo in linea con il tuo potenziale del momento e anche con compenso decente (vedi 112 mg/dl a fine corsa).
A mio avviso la voglia e il desiderio che abbiamo che il monitoraggio in continuo funzioni e sia affidabile ci fa essere più “teneri” nell’accettarne i limiti di funzionamento attuali, per cui non vogliamo arrenderci al fatto che questo strumentino così intrigante sia ancora lontano dal funzionare bene come dicono (e gli studi che freestyle abbott manda in giro sul fatto che la glicata si abbatte di 1,5 punti sono da querela perchè 1,5 di glicata mediamente non te lo abbassa neanche la più innovativa delle insuline e relativo strumento di somministrazione!)
Ma nei prossimi due/tre anni arriverà di tutto e di più, speriamo il mercato italiano sappia recepire il tutto e che il livello di consapevolezza degli atleti con diabete di tipo 1 cresca in qualità e in quantità. A vedere cosa si fa in giro, mi sembra di essere fermo a 10 anni fa.
DNL che un po’ rallenta per sopraggiunti limiti di età, entusiasmo intermittente e lacune organizzative, resta sempre al di sopra della media: e questo è “no buono”.

Futurissimo: a fine gara ero stanco, ma come sensazioni generali sono uscito meglio rispetto ad altri ultra del recente passato. Se penso che lo scorso anno, pur partendo da uno stato di forma decisamente più buono, ho avuto nausea per quasi tutta la gara, questa volta invece le difficoltà sono state solo “fisiche”, ovvero da ritardo di preparazione.
Ci ho messo cinquanta minuti in più, e quindi devo un po’ rivalutare la mia prestazione del 2016. Peccato perchè solo negli ultimi 10 k ho perso almeno 30 minuti. Camminavo e non riuscivo a spingere.
Però fino alle 10 ore di gara ho tenuto onorevolmente. Dovevo andare più lento.
Positivo il recupero. Anche dopo questa gara, un giorno di riposo, e poi ho ripreso ad allenarmi. Il dolore all’inserizione dell’ischiocrurale che mi assillava nei giorni precedenti è sparita (temporaneamente, salvo ricomparire dopo i primi allenaementi impegnativi, ndr) , le gambe girano. Per lo meno non posso imputare il calo di prestazione al motore spompo, ma solo alla mancanza di “carburazione”.
Mi alleno e mi diverto come un bambino, e in queste settimane passate prima di trovare il tempo e l’ispirazione per scrivere questo report, continuo a riscoprire piacere nella fatica.
Almeno questo. L’obiettivo stagionale è la LUT del 23 giugno. 11 settimane da gestire bene, partendo da una buona base aerobica. Non so se farò altre gare prima, mi farebbero bene per tenere l’abitudine alla competizione. A prescindere mi diverto sia in gara, sia e soprattutto quando corro da solo. In trail we trust! E comunque dovevo andare più lento: “Nel dubbio rallenta!” altro che #nonsimollauncazzo.