HASETSUNE 30K TRAIL

Okutama Mountains, Tokyo • 1 aprile 2018

Cristian @ HASETSUNE 30K TRAIL • APRILE, 1  2018
OKUTAMA MOUNTAINS, TOKYO, JAPAN – 32K 1600 D+

“BEAT” IN JAPAN
Racereport by Cristian, bib#2277 #type1dabee, Italy

 [F I N I S H E R in 3h53 … 224°/1560 ]

“Il fiore perfetto è una cosa rara. Se si trascorresse la vita a cercarne uno, non sarebbe una vita sprecata”

Seconda gara nipponica … questa volta trentaDUE km e 1550 d+.
Pettorale 2277 … FINISHER in 3h e 53 minuti … 224° su 1560 arrivati e circa 1700 partenti.
Ho provato a fare la gara, ma dal 16° km si è spenta la luce e ho dovuto tirare i remi in barca per portare a casa il “diploma” di finisher.
Evidentemente ho fatto il passo più lungo della gamba. Ma ho voluto provarci, correndo un po’ alla giapponese … banzai e harakiri!
Per una volta niente “nel dubbio rallenta”.
Sapevo che rischiavo grosso, ma ogni tanto potrò concedemerla una corsa “ignorante” … ed è finita con una cotta (“BEAT”) colossale 🙂
Da Big in Japan a …. Beat in Japan il passo è breve!

Preambolo Atletico

Rimando a quanto scritto nel precedente report Setouchi Island Trail.
Mi sto allenando con costanza ma ho bisogno di più tempo per raggiungere la forma desiderata, anche se ho riparametrato il tutto agli anni che passano e all’ineluttabile progressivo logorio fisico e mentale.
Queste gare le ho messe dentro per curiosità e conoscenza del mondo trail giapponese.
Nei 7 gg  tra le due gare, a parte spostamenti vari in treno, auto, qualità del sonno così così (quattro notti su futon) e varie escursioni e visite nelle sperdute montagne giapponesi con famiglia al seguito, ho svolto 4 allenamenti di cui 1 di qualità (ripetute in salita brevi), 2 di endurance da 60’ circa, (una perdendomi nelle campagne di Ina) e 1 di scarico da 45 minuti.
Lunedì e sabato riposo, domenica la gara.

Preambolo metabolico
In questi 7 gg ho peggiorato la gestione e il compenso. Troppi picchi, anche notturni, con continue correzioni. Sto cercando di capire se per mia colpa o se le penne si sono avariate. O il combinato disposto. Comunque sicuramente non sono stato perfetto nella conservazioni in frigo delle mie 5 penne di analogo ultrarapido al seguito. Dunque avevo il sospetto che non lavorassero a dovere, o meglio a singhiozzo.
(*con il senno di poi, avevo ragione. Ho cambiato la penna appena rientrato in Italia, e subito si è sistemato tutto. La prossima volta dovrò essere meno approssimativo, visto che avevo il frighetto al seguito e che le penne di glulisina durano al massimo 30 gg fuori frigo al contrario di Degludec Tresiba che può rimanere 2 mesi fuori frigo e dunque in viaggio è decisamente meno soggetta a “scadimento”.)

Da sensore, in una settimana la stima A1c è passata da 6,7 a 6,9 (52 mmol) con medie glicemiche pessime e forti escursioni. Annullate le ipo, vero, ma con troppi over 240 … in particolare nella fase notturna.
Avrei potuto accorgermi prima della cosa se mi applicassi con più costanza e precisione nella conta dei carboidrati. Non basta essere precisi sulla pasta, ma poi non pesare il pane, o valutare ad occhio un dolcetto e così non avere mai la matematica certezza che le iperglicemie siano conseguenza dell’insulina avariata o di errore nella conta degli zuccheri. Un motivo in più per FARE SEMPRE la conta dei cho. L’occhio non basta. Bisogna pesare!

Race Report

Non vi dirò come sono SCOPPIATO. Vi dirò come ho CORSO”.

Sveglia h.4.00 …180km in 2h30 di viaggio su un fantastico Van Toyota fine anni 90.
Grazie a Maso, grande amico e un giapponese che può essere considerato come l’ultimo samurai, alla ricerca del “fiore perfetto”.
Parcheggio tattico e mi inserisco nella fiumana di ordinati atleti che a piedi giungono dalla stazione dei treni al luogo di partenza. La famiglia arriva a rimorchio.
Quasi 1700 i partenti. Ho capito solo all’ultimo che questa è una delle gare più importanti del panorama trail giapponese, giunta alla sua 10a edizione. Organizzazione impeccabile. Operazioni di controllo materiale obbligatorio, consegna chip rapidissimi. Basta che tutti rispettino la fila ed è fatta! Capito Italiani!
Dalle velocità con cui vedo effettuare gli allunghi nel pregara capisco che il livello è … ALTISSIMO!
Aggangio il pettorale, allaccio i due (?) chip alle scarpe (così se ne perdi uno vai sempre a classifica: previdenti questi nipponici!) e mi inserisco in griglia all’ultimo minuto, entrando dal davanti. Italiani brava gente!
In Giappone agli stranieri è concesso tutto per la logica secondo cui se sbagli non è colpa tua ma è colpa loro che non ti hanno spiegato da dove si passa.
Però accortomi dell’errore, arretro di una decina di metri  lasciando almeno un centinaio di concorrenti prima di me.
Stretching di gruppo in griglia con speaker a comandare gli esercizi e via a tutta.
Primi km di asfalto e me li aspettavo. Giunto al 9° km però comincio a chiedermi se ho sbagliato gara e in realtà il trail fosse in un altro posto. Ma al decimo km esatto, dopo 400 metri d+ corsi a 5’ al km, inizia lo sterrato e la salita vera. 6 km e 700d+ sulle Okutama Mountains tecnicissimi e divertenti dove corro all’attacco, spingo in salita, rilancio sui saliscendi e … udite udite, in discesa non mi supera nessuno, anzi taglio i gradini, salto su tronchi e massi come una capretta. Solo pista monotraccia con tantissime curve dove è difficile fare velocità a compensare la filante parte iniziale su betume.

Pur avendo visto sin dall’inizio che le frequenze cardiache erano un po’ altine, decido di proseguire a sensazione, dunque attaccando. Nessun fuori giri, per carità, ma continui cambi di ritmo: comunque difficili da gestire quando la forma è quella che è.
Dopo meno di due ore di gara ho nelle gambe 16 km e 1100 d+ e mi sembra fatta. Il solito illuso.
Non ci sono ristori e bisogna essere autosufficienti per tutto, acqua inclusa. Sono preparato.
Inizia un tratto di 3 km su asfalto in leggera discesa dove inizio ad avvertire le gambe “molli”: strategicamente, riduco il passo per recuperare un po’ muscolarmente e riservarmi di riaccelerare appena la strada riprenderà a salire.
Tuttavia ho fatto male i conti.
Da qui alla fine non riuscirò più a spingere, correndo sempre schiacciato e riducendo notevolemente i ritmi. In salita, per la prima volta, anche se non ripida, cammino per un centinaio di metri.
Ho speso troppo nella prima metà evidentemente: non ero pronto per reggere simili ritmi su prove di endurance sopra le tre ore. Cosa che sapevo a dire il vero, ma ho negato l’evidenza.

Affronto l’ultima ora di gara in sofferenza. Peccato perché i segmenti trail erano davvero divertenti e da sbellicarsi al 100%.
Ci sono gli ultimi strappi durissimi e le discese tecniche dove adesso scendo come una lumaca triste. Altro che capretta felice. Credo di essere stato superato da almeno un centinaio di concorrenti. Ma giunge il momento di lasciare l’orgoglio a casa (“leave pride at home”) e arrivare al traguardo alla come riesce. Correre in fondo NON E’ e NON DEVE ESSERE una questione di vita o di morte!

Ultimo km su betume al piccolo trotto. La mia famiglia e gli amici ad attendermi. Beniamino mi prende la mano e corre con me al traguardo. “Papà hai fatto quinto!” mi dice. Beato lui che mi chiede a volte addirittura se ho vinto. W l’innocenza di un bimbo di quattro anni!
La giovane speaker donna ci accoglie con un sorrisone. I boccoli del mio bimbo sono cosa rara in Giappone, quasi come la presenza di caucasici alle gare. Anche qui secondo. Un francese, questa volta, mi ha preceduto di ben 30 minuti!
Il vincitore invece mi ha staccato di ben 68 primi, chiudendo in 2 ore e 45.
Ancora una volta “esimo degli esimi”, precisamente “224esimo” come certificato dal diploma, rigorosamente in ideogrammi, consegnatomi appena giunto al traguardo. Evviva!
Questa volta mi godo un po’ meno il dopo gara rispetto alla settimana scorsa. Sono decisamente più provato. Ma quando corri alla giapponese, sono cose che capitano.
“Tu pensi che un uomo può cambiare il suo destino?” – Io penso che un uomo fa ciò che può finché il suo destino si rivela.”
E così il tempo del mio trail running nipponico è giunto alla fine… Me ne torno a casa con quel poco di pace che tutti cerchiamo e che solo alcuni raggiungono. SAYONARA “

Considerazioni atletico-metaboliche
Il mio book basta e avanza per analizzare la prova e dunque evitarsi la lettura di quanto sopra e sotto. Però se vi piace leggere …
Emergono sicuramente due aspetti: dal punto di vista atletico, la differenza prestazionale tra le prima metà di gara e la seconda, con frequenze medie 161 vs 145 battiti al minuto. La frequenza media complessiva di 152 bpm non è veritiera.
Dunque il calo di ritmo è davvero “allucinante”! Non sono stato un esempio di stile italiano, ovvero di saper “distribuire” lo sforzo. Tattica da somaro invece… o da samurai?
Metabolicamente, invece, un compenso glicemico non in linea con le attese, nonostante una strategia collaudata e ritmi predominanti  in zona 2 e 3 che avrebbero dovuto far presagire un maggior consumo di zuccheri, a maggior ragione con la correzione dell’iperglicemia al risveglio, che (al netto del fattore insulina degradata) mi dava un po’ di coda di insulina rapida per assimilare meglio e più velocemente le integrazioni della prima ora di gara.
Che tutto ciò non si sia verificato forse per l’insulina ultrarapida avariata (ma non quella basale comunque generosa) non credo abbia cambiato il mio destino … non penso che 120 minuti in lieve iperglicemia siano penalizzanti. Magari nell’ottica della massimizzazione della performance un po’ sì. Ma il motivo principale del calo prestazionale è molto più semplice: non avevo quei ritmi nelle gambe.
Anche in considerazione di

  1. aver corso sette giorni prima una gara comunque impegnativa a ritmi intensi di 160 minuti
  2. Carico allenamenti dei 30 gg precedenti e della settimana intragara
  3. Stile di vita, qualità del sonno, stress, spostamenti vari da un mese a questa parte
  4. condizioni ambientali, logistica della gara (3 ore di auto, sveglia alle 4)
  5. Abitudine alle gare sul ritmo …

Insomma le solite attenuanti da vero paraculo … in versione “samurai” questa volta.
Alcuni lettori potranno interrogarsi sul fatto per cui non passo al micro e mi ostino a proseguire con il “pacchetto base”. Al momento ritengo che il micro, se usato come si deve e non in modalità “defensive”, mi possa dare una marcia in termini di flessibilità, specie in prove di durata tra le 3 e le 4 ore dove una strategia più aggressiva e precisa  in termini di bolo/basale può garantire una maggior assimiliazione delle integrazioni di cho, che sono alla base della performance. Dunque su gare con distanze e tempistiche a ritmo tirato dove non bisogna far mai mancare ai muscoli l’energia.
Sui lunghi percorsi, invece, non credo dia questi vantaggi e comunque non ti evita di dover portarti al seguito le penne e anzi, in situazioni di endurance estremo senza assistenza per ore e ore, in ambienti dove una caduta capita facilmente e una cannula o un patch si può staccare, credo non sia così superiore ad una bella insulina basale in multiiniettiva che per lo meno fa il suo sporco lavoro per 24-28 ore filate (sempre se non viviamo con lo spauracchio dell’ipo ogni cinque minuti, ma se metto il micro per usarlo in modalità OFF o con la basale a 0,01 e se potessi anche meno …. ).
Tornando a questioni di fisiologia dell’esercizio, di certo appena rientro in Italia, dopo una settimana di recupero, riprenderò ad allenarmi con costanza, dilatando pero di più i tempi e diversificando ancor di più i lavori di qualità / intensità per migliorare le lacune metaboliche e aumentare la cilindrata.
Questo anche se la preparazione sarà incentrata sui lunghissimi percorsi… Swisspeaks 360 dal 2 al 9 settembre 2018.
La velocità resta la base di tutto, anche sulle ultradistanze, ma una volta che la si è ritrovata, bisogna mettersi in testa che per ”andare forte bisogna saper andare piano”.
Il tema della velocità percepita e della velocità consapevole è il vero snodo dell’atleta di endurance. Specie se provieni dalla strada, e sei abituato a certe velocità e a ragionare sul passo / km, fai fatica ad inserire le altre dinamiche (capacità di corsa su sterrato, tecnica in discesa, alimentazione, tenuta mentale) o ad accettare talvolta che “nel dubbio bisogna rallentare” o che le velocità sostenibili sui lunghissimi percorsi sono quelle che ti sembra di andare a spasso e dunque non devi accelerare appena senti che non fai fatica.
Insomma in zona confort il più possibile per saper tenere duro quando arriva la zona “sconforto”.
Bene, dal Giappone passo e chiudo …
“Ho cercato di dare un resoconto fedele di ciò che ho visto e ho fatto. Non ho la presunzione di comprendere il corso della mia vita, so solo che sono grato di aver partecipato a tutto questo.”
#BiginJapan ….#fanculogliashtag