DCaA 2020
Dalle Cevenne alle Alpi
SOLO RIDE
14-19 ottobre 2020
Cronaca di un cicloviaggio transfrontaliero per non comprovati motivi di necessità
di Cristian Agnoli, VR
What’s the meaning of Solo Ride?
Gli anni passano, i bambini crescono, la pandemia avanza e io, quarantanovenne impenitente, sono ancora qui a pedalare bagagli al seguito, addirittura per la seconda volta nel giro di quattro mesi [link Down by Apps], ora in versione ciclovacanza autunnale breve.
Poca roba, per carità, i giorni che un padre di famiglia può prendersi sono pochi, e già averne sei a disposizione, consente di disegnare itinerari accattivanti. C’è chi farebbe carte false per molto meno.
Meta di questo mio breve viaggio sui pedali è, come sempre, il ritorno a casa.
Punto di partenza invece, la città di Montpellier, Occitania, Francia Meridionale, dove sono giunto grazie alla opzione passeggero + bici offerta da Flixbus per poco più di 60 euro.
L’idea di una traversata dalla catena montuosa delle Cevenne alle Alpi, nasce dall’iniziale voglia di celebrare il decimo anniversario del mio primo ultratrail, l’Endurance Trail di Millau del 2010 e di percorrere una sorta di commemorazione storico-turistica sui pedali dalla Francia all’Italia.
Il progetto prevedeva: trasferta in auto con famiglia fino a Millau, partecipazione alla gara di corsa in natura da 100k e 5000+ con rientro a casa in bici (qui autotrasportata). Il prevedibile annullamento della prova a causa dell’aggravarsi dell’epidemia Covid, mi ha costretto a riprogrammare il tutto.
Quindi, niente gita di famiglia con combinato trail+bici, ma un più semplice trasferimento bici+treno+bus+bici fino a Montpellier.
Una “Covida” su due ruote senza assembramenti e in assolo via Occitania, Rhone Alpes, Alta Provenza e dunque Italia, svisando tra Langhe e pianura padana: viva le strade secondarie, vera essenza del cicloturismo senza bisogno di Komoot e tracce gps.
Mappa 1:200.000 e un po’ di occhio alla morfologia. In movimento da ovest verso est, ricercando bellezza e ispirazione tra borghi caratteristici, monti noti e meno noti, campagna ordinata, bordo strade ripulito.
Rigorosamente nell’entroterra meridionale francese, senza mai lambire il mare.
Un po’ per scelta, un po’ per convenienza e un po’ per necessità vista la situazione Covid, “solitudine e autosufficienza” sono i punti fermi della mia “solo ride”: tenda per pernottare, fornelletto per cucinare, gambe per pedalare e testa per … prendere decisioni rapide ed efficaci, ma soprattutto per fissare indelebilmente nella mente colori, odori, fatiche, visioni, sensazioni, pensieri.
Zuppa calda + birra in lattina del discount + campeggio libero = felicità.
E’ forse mancato il contatto con le persone, i gusti e le tradizioni, ma il viaggiare in bici arricchisce sempre e comunque.
Ho disegnato ovviamente un itinerario inedito, che mi facesse percorrere luoghi e strade mai solcati nella mia trentennale carriera di cicloviaggiatore “alla come riesce”.
Non ho esagerato con dislivello, pendenze e aria sottile, prediligendo salite abbordabili, magari lunghe ma non troppo dure, vagabondando per la provincia francese ad esaltare il senso della traversata e del fai-da-te.
Non tutti i viaggi devono portarmi a conquistare vette ardite o a pedalare oltre i miei limiti.
Anzi, oramai sono un esploratore della zona comfort. Nella fatica e nella scomodità, ricerco armonia, fluidità, il piacere della divagazione puntando una direzione e pensando tutto il giorno al fine tappa che è la mia personalissima ciliegina sulla torta. E per gustartela, devi avere risorse fisiche e mentali residue, oltre a qualcosa da sgranocchiare nelle borse. Se ci arrivi maciullato non servono champagne, ostriche e coquilles Saint Jacques freschissime a risollevare lo spirito!
E nemmeno raccontare agli amici di quanti chilometri hai fatto, se nemmeno ti ricordi i nomi dei posti dove sei passato.
Dopo aver scrutato le previsioni meteo estese e la praticabilità dei valichi alpini, ho preferito spostare la partenza nella seconda settimana di ottobre. Ciò mi ha garantito alta pressione, strade asciutte e temperature miti, anche se le nevicate in alta quota dei giorni precedenti hanno portato alla chiusura del Col de la Lombarde, uno dei quattro waypoint indifferibili di questa mia e le alluvioni nelle Alpi Marittime alla impraticabilità di alcuni accessi che avrei battuto in avvicinamento.
Cose che capitano. Piano B e percorso alternativo opzionato, passando ai 1996 metri sul livello del mare del più abbordabile e sempre aperto Col de Larche.
Nemmeno un over 2000 … mi piace vincere facile.
Conseguentemente ho rinunciato anche all’attraversamento delle Gorges de Cians rimpiazzate dal Tour de la Blayeul.
Mont Aigoual e Gorges de la Nesque, i primi due waypoint iconici, invece, regolarmente raggiunti.
Non è stato facile decidere di partire in questo periodo.
Pandemia, coprifuoco, quarantene, tamponi, responsabilità, meteo, alluvioni …. Ci ho riflettuto parecchio, se lo desideravo veramente, se aveva un “meaning” questo irrefrenabile richiamo dell’avventura, senza forzare troppo la mano, senza montare l’impresa.
Studiare mappe e luoghi per avere il terreno in tasca e poter anche improvvisare, senza bisogno di tracce , ma convinto del mio credo ciclistico, del mio istinto per percorsi, salite e luoghi.
Speri poi che l’inerzia sia favorevole e che gli eventi ti aiutino, in una sorta di effetto volano. Ma se non parti, tutto ciò non può accadere.
E così, tra le varie, ti fai dodici ore di bus, passi la prima notte di campeggio libero a 1000 metri di quota, conquisti il passo a 1600 metri con freddo e nevischio. Ti rendi conto che sei ben equipaggiato, che le gambe vanno, che stai bene e che sai mantenere la concentrazione e non prenderti rischi oltre il fisiologico. Tutto fluisce: non hai la necessità di fare il fenomeno, i posti che stai attraversando sono meravigliosi e l’avventura di cinque giorni che stai vivendo è un concentrato di emozioni e scoperte che certe persone non immaginano di godere in una vita intera e più.
Prendi fiducia e coscienza, senza scadere nell’eccesso di confidenza: piazzarsi in un bosco, accendere un fuoco, preparare una zuppa, defecare nel cespuglio, lavarsi alla meno peggio e soprattutto addormentarsi e dormire profondissimamente senza preoccupazioni di essere mangiato dal lupo cattivo diventano routine e normalità … queste, per me, sono grandi conquiste e l’età o l’outfit non contano.
Coltivo questa propensione. Questo è ciò che desidero.
Non è questione di maturità o immaturità, di farsi crescere la barba da hipster e di avere tutti gli accessori fighetti sulla tua gravel di ultima generazione.
E’ questione di fare o non fare le cose e non cagarsi addosso appena cala le notte, senti un rumorino tra i cespugli, il vento muove le fronde.
Questo continua a farmi sentire in bocca il profumo di violette e la voglia di ripartire, anche quando l’alito da topo morto vorrebbe prendere il sopravvento.
In sella, si parte.
E già ho mille idee per altri viaggi, tutti, ovviamente, con meta finale il ritorno a casa.
#Fear of Distinction #backhome
Equipaggiamento
Argomento delicato e disorientante, vista l’ormai infinita offerta di tutto e di più, sia a livello di bici, sia di accessori, cibo, tende, materassino, per ogni tipo di viaggio e per ogni tasca. E di gente che viaggia in bici è pieno il mondo, per fortuna. E chapeau e complimenti a tutti, soprattutto a quelli che fanno cose che io non ho il coraggio nemmeno di pensare.
Dunque non entrerò troppo nei dettagli, perchè non sono aggiornatissimo su tutte le ultime novità del vastissimo mondo del bikepacking.
Resto un mezzo perfezionista legato a una visione “nostalgica” e “teutonica” del viaggiare in bici ovvero con borsoni laterali e portapacchi posteriore. Ai primi rinuncerei solo in favore di quelli anteriori, ma fino a quando cavalcherò il mio cavallo di alluminio in versione Lefty ciò non sarà realizzabile (anche se ho provato a studiare delle modifiche a dei portapacchi front)
Ecco qui un disegnino quasi esaustivo del mio equipaggiamento.
Abbigliamento: come ambassador del brand PH, ho testato alcuni capi, in particolare le maglie merinos NZ e i bib Atelier e Fast.
Per le situazioni estreme, mi sono affidato al mio infinito guardaroba di abbigliamento tecnico in anni di acquisti compulsivi e non.
Downjacket e overpants da alpinismo in primaloft per il grande freddo, tre giacche e tre pantaloni in goretex tra 15.000 e 28.000 colonne d’acqua per le giornate piovose.
Base layer e maglie termiche in lana merinos a completare il tutto. Solo capi tecnici, anche per il dopo tappa.
Ai piedi uno stivaletto invernale waterproof Fizik… ottimo per tenuta all’acqua, un po’ debole per le temperature più rigide.
Non ho comunque mai messo i copriscarpe e nemmeno indossato calzettoni termici, ma sicuramente con temperature costanti prossime o sotto lo zero forse è necessario ricorrere a qualcosa di più isolante.
Ottimi invece i manopoloni da manubrio, una cineseria antiestetica da pochi euri, che mi però ha consentito di pedalare praticamente sempre a mani nude e calde, indossando guanti classici solo nelle ore più fredde della mattina o in quota.
Sacco a pelo e materassino hanno superato a pieno la prova, così come la tenda, fatto salvo l’annoso ma gestibile problema della condensa interna, tipica di ogni tenda monotelo di qualsiasi fascia di prezzo.
Per quanto riguarda la bicicletta, le recensioni su internet della mia datata Cannondale Slate del 2016 con pregi e difetti non mancano e oramai la produzione di gravel e bici da viaggio è infinita e fare l’acquisto giusto è impossibile perchè ogni settimana esce la bici perfetta che sostituisce la bici che pensavi perfetta la settimana prima.
Rispetto all’originale, ho modificato i rapporti al posteriore per salire agile anche a pieno carico e per questa vacanza con poco sterrato ho montato copertoni slick da 1.4 pollici della Michelin. Personalmente sono un fan dell’ammortizzazione anteriore anche per l’uso stradale. In discesa e sui terreni sconnessi è davvero un plus avere quei 30mm di escursione.
Alla Lefty sono legato, lo ammetto, soprattutto da motivazioni estetiche, ma non riscontro problemi di stabilità o guidabilità della bici, anche a pieno carico. Pur avendo montato un portabottiglie laterale sulla forcella e doppio borsello sul manubrio anteriore, dopo un paio di giorni prendi una confidenza tale con il mezzo che riesci pure ad andare senza mani quando devi toglierti la mantellina o sgrachirti le braccia o la schiena.
Non ho avuto problemi meccanici di nessun genere. Consiglio le nuove camere d’aria della Schwalbe con le valvole che tengono le gomme in pressione perfetta per almeno 30 giorni. Nessuna foratura.
I freni a disco, nonostante spurgatura, cambio pastiglie e regolazione a luglio, non mi hanno soddisfatto a pieno: mi riservo però di cambiare meccanico.
Allestimento generoso per garantirmi capacità di carico e autosufficienza per la notte e per cucinare. Dunque borse laterali, porta mappa, borsello anteriore e vari anfratti ove posizionare tutto l’occorrente e forse anche qualcosa di superfluo. Ma del superfluo ti accorgi solo alla fine, quando le condizioni meteo favorevoli ti hanno consentito di cambiarti d’abito solo 1 volta in 6 tappe.
Non esiste la bici perfetta o l’equipaggiamento perfetto: esistono però la tua bici, le tue borse e tutta quella serie di gesti e movimenti che sono il tuo mood … prima,dopo e durante la tappa.
Nella tua Ortlieb backroller, nel tuo borsello Thuile, nel tuo sacco a pelo Cotopaxi e nella tua tendina Naturehike ci sono le cose che ti servono e volendo puoi fare a meno del resto del mondo.
Stage 0 Transition
Garda-Montpellier
Bici > Garda-Peschiera 17 km + treno + Bici > Milano Centrale-Lampugnano 8 km + bus
Diario di viaggio. Mercoledì 14 ottobre. Primo giorno. Trasferimento.
Finalmente si parte, confidando nella settimana dal meteo perfetto.
A metà pomeriggio sui pedali direttamente da casa in una indimenticabile giornata di sole autunnale. In scioltezza, giungo alla stazione FS di Peschiera del Garda dopo quarantacinque minuti, durante i quali approfitto per verificare che bici, bagagli e suppellettili vari siano al posto giusto senza rumorini, sfregamenti, cigolii.
Mi attende il vagone bici del Regio Espresso 2078 Trenord per Milano Centrale delle 17.59.
Per €14,50 biglietto e supplemento bici.
Nel frattempo Monica e bimbi mi raggiungono per un ultimo saluto direttamente dal binario 3. Cosa chiedere di più? Che l’ascensore funzionasse. E invece bici in spalla su per le ripide scale dei sottopassi.
Il vagone bici è in coda … sono costretto a una volata per caricare la mia Slate bella “pesa” sul filo della chiusura porte. Beeeeep! Il capotreno fischia di nuovo. Si parte!
A Milano con i soliti 20 minuti di ritardo (precedenza alle Frecce!), ma solo 8 km mi dividono dalla stazione Flixbus di Lampugnano.
Qualche difficoltà di orientamento e navigazione, ma alla fine riesco a trovare la via giusta e a pedalare con piacere in notturna tra le stranamente poco trafficate strade milanesi. Altri quaranta minuti agili agili.
Ripongo la bicicletta nel vano bagagli senza necessità di smontare ruote e sella, semplicemente ancorandola con un paio di corde elastiche.
Molto cordiali autisti e personale di bordo.
Autobus a mezzo carico, utenza variegata multietnica.
Mascherina indossata e via per 11 ore e 25 di viaggio tra microcicli di sonno, mal di collo, fermate, accensione luci, annunci al microfono di bordo, controlli della Gendarmerie al confine e continui cambi di posizione e inclinazione del seggiolino.
Stage 1 – giovedì 15 ottobre 2020
Montpellier-Bassurels Mont Aigoual (PN Cévennes)
km 137 d+ 2600
Farà piacere un bel mazzo di rose, E anche il rumore che fa il cellophane
Ma una birra fa gola di più, In questo giorno appiccicoso di caucciù
Con circa quindici minuti di anticipo, l’autobus approda a Montpellier intorno alle 8 e 15 del mattino.
Sole e 13°C.
Alle 8 e 45 la bici è allestita e via, sui pedali, per questa mia solitaria. Io sono vestito uguale al giorno prima. Il viaggio con i pantaloncini da bici PH non mi ha massacrato i gioelli di famiglia: merito del fondello di ottima fattura. E vai con la prima marchetta … di una lunga serie.
Destinazione odierna il primo waypoint: l’iconico Monte Aigoual. Giungerò nel cuore del Parco Nazionale delle Cevenne, propaggine meridionale del Massiccio Centrale, che festeggia proprio nel 2020 i 50 anni della sua istituzione.
La vetta più alta delle Cevenne è il Mont Lozére (1702m), ma il gpm dell’Aigoual, a “soli” 1567 metri si raggiunge in bici ed è salita più volte percorsa dal tour de France, anche in questa ultima edizione, e quindi di notevole richiamo per l’appassionato ciclista.
Per l’uscita dal centro città mi affido a Google Maps, per poi passare alla modalità “old school”: mappe e roadbook cartacei cui aggiungere la consultazione del mio gps da polso cartografico Tactix Charlie al bisogno, ove si proponesse qualche incrocio di dubbia interpretazione.
Punto dunque verso nord, spingendomi nell’entroterra, in attraversamento di campagna, cavalli al pascolo, allevamenti, vitigni e borghi pittoreschi. In sequenza St. Gely du Fesc, Viols le Fort, St-Martin-de Londres.
Primi 40 km con vento contrario spesso in leggero falsopiano. Per fortuna il sole è una costante.
Nonostante il sonno frammentato della trasferta in bus, sono discretamente pimpante. Pedalo sempre di conserva, prediligendo la regolarità alle progressioni. E nel dubbio, tolgo un dente.
Solo così oramai posso fare se non voglio finire bollito alla prima tappa. Sono finiti i tempi dello spingere a testa bassa.
Imbocco la dipartimentale 1 (D1) e affronto il primo gpm di giornata: breve e facile scollinamento con tortuosa discesa alla cappella di St. Etienne d’Issensac, rigorosamente su brecciolino.
Il caratteristico ponte romanico attraversa il fiume Hérault, paradiso dei canoisti.
Ripunto verso nord, sempre controvento, seguendo la vallata per Cazilhac. In compagnia di una giovane coppia di gravellers svolto in direzione St. Laurent le Minier, seguendo il tratto iniziale delle Gorges de la Vis.
Cevenne, terra di fiumi, gole, pascoli, muri a secco e … miniere.
Attraversato il ponte con vista sulle cascate del fiume Vis è già ora del secondo, più impegnativo, gpm di giornata: il col des Aires. Poco meno di 7 km per arrivare poco sopra i 500 metri, sempre esposto al sole e dunque con temperature quasi estive che mi costringono più volte ad aprire la zip della mia NZ in merinos. Pendenze dolci e regolari, senza incontrare anima viva. Il distanziamento sociale è assicurato.
Veloce discesa verso Le Vigan e ingresso nel diparitmento del Gard.
Ripensandoci il nome di questo viaggio poteva essere “Dal Gard al Garda” … battutona!
Sosta alla base vita Lidl. Garantiti zero assembramento, vasta scelta, prezzi bassi. Niente scarpe però, solo viveri. Divorato il mio paninazzo e assicurate nelle borse scorte per il bivacco, proseguo nell’avvicinamento all’imminente lunga ascesa al Mont Aigoual, che seguirà la D48.
Mai durissima, ma spesso ventosa, con alcuni colli “minori” che si susseguono nella seconda metà.
A sud la pianura e dal belvedere de la Cravate si vede pure pure il mare Mediterraneo.
Un po’ in apprensione per i tempi di percorrenza, scalo comunque fiducioso e regolare, anche perchè quando fai campeggio libero non ti devi preoccupare di dove arrivare: la scelta per accamparsi è vasta e nessun luogo è lontano. Me lo ripeto nella testa, ma un po’ di ansia da vacanziere imbruttito è dentro ognuno di noi, ahinoi.
Arrivo al gpm del Col du Miniers (1264 mslm) dove le fredde correnti atlantiche si scontrano con le calde folate dal Mediterraneo.
Al supermercato di L’Esperou, pochi chilometri più in là, a quota 1200, approfitto del locale minimarket per acquistare un po’ d’acqua e qualche altra prelibatezza per cena e fare il punto della situazione visto che sono già le cinque del pomeriggio, il cielo si sta annuvolando, il freddo si fa pungente e al gpm mancano ancora 12 fottutissimi chilometri e 400 di più.
Nonostante un turista locale mi sconsigli dal proseguire per l’arrivo di una perturbazione, aumentando la mia fisiologica dose di crucci, proseguo all’insù pensoso ma efficace.
Cevenne … terra della rivolta protestante dei Camisardi contro la Monarchia. Non sarà mai ch’io mi fermi?
Scollino il successivo colle della Serreyrade (Tour de France 2020) e mi innesto nel segmento finale per il Mont Aigoual. Il vento sommitale e la pioggerellina mista neve rendono il tutto molto “esaltante” … quella sensazione di sicurezza mentre avanzi nel freddo, ma senti di avere l’equipaggiamento giusto e le forze necessarie.
Osservatorio chiuso, lavori in corso, rifugio chiuso, un vento che non ci si regge in piedi. Riparato dietro un muro, provo a scattare qualche foto a testimonianza del passaggio, ma senza pretese artistiche. Vestizione assetto grande freddo obbligatoria.
Sfruttando la finestra di luce concessa dal fatto di trovarsi così a occidente, mi butto in discesa velocissima al calduccio del mio guscio imbottito. I primi chilometri controvento richiedono doti da equilibrista. Poi è qui la festa.
Infilo la D19, una stupenda rotabile di media montagna che attraversa pascoli e casolari, terrazzamenti e muri a secco.
Occhio all’altimetro … tassativo piazzare la tenda sotto i mille metri, giusto per stare al limite della quota zero gradi. Avvisto un’area campeggio rurale che pur chiusa in questa stagione, risulta non recintata e accessibile. Sfrutto il prato e i tavoli in legno, non prima di aver ottenuto il non condizionato consenso di un anziano signore qui incrociato. La versione francese e bucolica dell’”umarell” di città.
Sfrutto gli ultimi minuti di luce per installare la tenda, lavarmi alla meno peggio e indossare l’assetto “transition”: intimo merinos, calzamaglia, pantalone e giacca in primaloft, calzettoni imbottiti antiacqua con suola rinforzata utilizzabile anche come scarpa per piccoli spostamenti (infrattamento, andirivieni dalla bici, dimenticanze fuori dalla tenda quando sei già “saccoapelato” etc etc.).
I capi umidi della giornata, ma ancora profumati grazie ai materiali naturali, stesi nel sacco a pelo, così la mattina lì ritrovi asciutti e …. caldissimi!
Materassino a nido d’ape con cuscino integrato che si gonfia con “otto potenti soffi” e sacco a pelo da alpinismo Cotopaxi che garantisce confort fino a -18°C. Dotazione generosa, ma sto anche testando il materiale per future avventure in zone fredde “giù al Nord”.
Fuori è buio e con le rigide temperature esterne, anche se ben equipaggiato, preferisco cucinare comodamente disteso sfruttando la piccola abside della mia tendina ultralight Naturehike.
Per limitare il consumo d’acqua, l’uso di pentolini e i tempi di cottura, preparo il riso al pollo al curry liofilizzato della Decathlon, che con 30 cc d’acqua calda è pronto in soli 6 minuti. A seguire pane e formaggio, un thè caldo, una mini birretta in lattina da 25 cc e uno snack al cioccolato. Slurp, doppio slurp. E accontentarsi. Di certo, la cucina francese regala soddisfazioni maggiori, ma non è oggetto di questo viaggio.
Rafforzando quanto sostenuto nella mia prefazione, tutta questa serie di apparentemente banali quanto vitali gesti sono possibili perchè nelle precedenti ore sui pedali ho pensato a gestire le forze e a garantirmi una sufficiente scorta di brillantezza, lucidità, efficienza e precisione. Arrivare stanchi e sfiniti ti porta a rischiare di non godere a pieno del momento più bello del viaggio: la ritualità dell’accampamento.
Amore è … entrare soddisfatto nel sacco a pelo dentro la tua tendina.
Accucciato al calduccio, annoto appunti di viaggio e pensieri prima del meritato riposo. Nel frattempo i fari di un’auto illuminano la cascina. Ovunque tu sia, c’è sempre qualcuno che ti osserva. E’ il proprietario del campeggio, probabilmente allertato dal signore incontrato poco prima, che si annuncia con molta cordialità e toni gentili, chiedendomi se avessi bisogno di qualcosa, in particolare dei sanitari.
Scambiamo quattro chiacchiere, ma oramai avendo già approfittato del bosco, e essendo ricorso a salviette e alle mie riserve d’acqua per l’assetto di toletta non ho bisogno di altro.
Saluto Pascal, richiudo la zip dell’abside e mi rannicchio sul mio materassino che nemmeno Mastrota te lo vende così comodo.
La notte pioggerellina ghiacciata. Le temperature esterne sfiorano lo zero.
Verifico con piacere la totale impermeabilizzazione della tenda, la tenuta termica del sacco a pelo, così come il comfort del materassino. Piccole soddisfazioni, nonostante l’inevitabile fenomeno della condensa.
La tenda monotelo offre il vantaggio della leggerezza e della velocità di installazione, ma presenta il conto droplet da condensa. Dunque va lasciata asciugare a meno di non dotarsi di un panno all’uopo. Anzichè infilarla nella custodia, la piego in qualche maniera e la lascio appesa sul portapacchi posteriore. Ad ogni pausa la stendo sfruttando il sole. Un po’ antiestetico, ma quando arriva la sera è riutilizzabile e asciutta. Parliamo di una tenda da 1,4 kg pagata 120 euro. Ovvio che ci sono le Nordisk da 600 euro che pesano dai 500 gr a 1 kg … prossimo step?
I fighetti della new school gravel ovviamente non saranno d’accordo: piuttosto di rovinare l’estetica della bici con un bagaglio posteriore sventolante, dormirebbero dentro una tenda bagnata … o meglio ricorrerebbero a una comoda stanzetta in hotel magari con la mezza pensione: cena e abbondante colazione inclusa!
Stage 2 # 16 ottobre 2020
Bassurels Mont Aigoual-Villar sur Auzon
km 187 d+ 1500
Oh, quanta strada nei miei sandali Quanta ne avrà fatta Bartali
Quel naso triste come una salita Quegli ochhi allegri da italiano in gita
Cielo coperto, ma niente pioggia. Oggi ci muoviamo verso est per raggiungere la regione della Vaucluse.
Qui a ovest è buio pesto fino alle 7.30 ed è dura uscire dal caldo del sacco a pelo.
Una tazza di caffè caldo e vestizione sempre nella mia stanzetta singola di nylon e poliestere.
Il cicloviaggiatore non può tergiversare troppo.
3,2,1… “Tranne i morti tutti in piedi!” … diceva mio nonno.
Le meticolose operazioni di impacchettatura vanno un po’ per la lunga e solo per le 8 e 30 sono pronto a partire. Un’oretta ci vuole tutta a sistemare le cose, ripiegare, riposizionare e resettare testa e gambe.
In sella, affronto una salita di circa due km con una serie di tornantini fino al col de Salidés dove la D19 si innesta nella D907, che precipita verso Saint André de Valborgne e Saint Jean de Gard.
Pedalo ben coperto. La strada segue il corso del fiume Gardon. La discesa va presa con le pinze, il fondo è umido, talvolta mosso e irregolare. Vecchi asfalti e numerose zone invase da fango e detriti a causa delle inondazioni qui verificatesi lo scorso settembre.
Prudenza, basse velocità ed effetto windchill contenuto.
Giunto ad Anduze, il sole fa capolino tra le nuvole e posso togliere il secondo strato pedalando ora solo con i manicotti.
Sfruttando la mappa cartacea e il mio roadbook, sfreccio veloce con il vento in poppa. E così sarà fino a sera.
Dai boschi e pascoli delle Cévenne, arrivo nei vigneti tra Alès e Carpentras.
La regione del Gard appartiene all’Occitania ma per paesaggi è più simile alla Provenza, di cui fa parte storicamente.
Tradizione medievale, castelli, abbazie, cantine, vitigni: storia e viticultura. E la mia bici come mezzo privilegiato di osservazione.
Qui si producono vini pregiatissimi come Châteauneuf du Pape, Gigondas e Vacqueyras.
Saliscendi e strade tortuose attraversano colline coltivate e cittadine pittoresche tra le quali segnalo St. Quentin de la Poterie, Uzés e Pouzillhac.
Filari interminabili di vigneti si alternano a piccoli boschi e foreste. Godo di questi paesaggi in solitudine e beatitudine.
La salita più impegnativa di oggi è quella da Uzès a Pouzilhac. Un paio di chilometri mai sopra il 5%.
Tra boschi e macchia mediterranea dai profumi di resine entro nell’abitato di Saint Laurent. Qui unica pausa della giornata: venti minuti da Mac Donalds. Altra fondamentale base vita per il cicloviaggiatore dove puoi ricaricare i device, sfruttare la wi-fi con la bici a vista, sorseggiare un buon caffè o una bibita senza farti problemi su quanto a lungo vuoi stare seduto.
Sfruttando la rete stradale secondaria quasi non mi accorgo della aumentata antropizzazione di questi luoghi. Tra Bedarrides e Monteux, tra argini di canali e fiumi, accedo a Carpentras dove sosto per la spesa della sera e per sopperire a una piccola crisi di fame. Nessuno è perfetto e a volte sei talmente concentrato sui paesaggi e il tuo ritmo che ti dimentichi di … mangiare!
L’attraversamento del centro urbano all’ora di punta, sono le 17 e 30 e gli uffici chiudono, è un po’ complicato dal traffico, ma poco dopo torna il silenzio della D942 verso Mazan e Villes sur Auzon.
In lontananza il mont Ventoux con le sue forme rotondeggianti.
Il monte pelato non è waypoint del mio viaggio, ma lo osservo sempre con una certa emozione: promontorio che non può essere indifferente a chi mastica di ciclismo.
Dopo quasi 190 km arrivo al campeggio municipale non presidiato. Significa che il dipendente comunale alle 17 va a casa e torna alle 9 e 30 del giorno dopo. Chi c’è c’è!
Chiappe perfette dopo ore e ore sui pedali. Il fondoschiena ringrazia fondelli e materiali della salopette PH Atelier e Fast: ergonomia sublime per ridurre al minimo attriti e sfregamenti con elevata resistenza a pilling e abrasioni. Il viaggio in bici e l’arte delle marchette.
Mi installo in fai-da-te, sfruttando una colonnina con prese elettriche attive per tenere gps e smartphone in carica. Inizio a cucinare la zuppa del giorno (oggi farro e verdure) , mentre un camperista olandese, mosso a compassione non provocata, mi offre un bicchiere di vino rosso e delle crepes con lo zucchero. Come dire di no. Anche in fase Covid-19 la gentilezza è ben apprezzata. E non mi pongo troppe questioni sul piatto, la forchetta e il bicchiere.
Mi gratifico con una doccia bollente nei bagni del campeggio. Dopo 72 ore a salviette e acqua fredda, il piccolo ma pulito bagno francese mi sembra una spa sulle Dolomiti.
Tranquillità assoluta nella piazzola.
Colpi di tosse secca dal camper dell’olandese (?) e schiamazzi di bimbi felici che giocano nell’adiacente parco giochi anche con il buio.
Videochiamata a casa, ai miei di bambini. Pensieri annotati sul blocnotes con gli occhi pesanti. Mi addormento nel mio fidato sacco a pelo che non teme freddo e condensa grazie al suo tessuto antigoccia. Insomma devo a tutti i costi giustificare i 300 euri investiti nel Sueno Cotopaxi Sleeping Bag. Niente marchetta, ma recensione positiva consolatoria.
Stage 3 – sabato 17 ottobre 2020
Villar sur Auzon-Malijai
Km 150 d+2150
E tramonta questo giorno in arancione
E si gonfia di ricordi che non sai
Mi piace restar qui sullo stradone…
Giorno nuovo ma solita routine. Un bel caffè caldo, piegare, imbustare, caricare. Alle 8.15 sono fuori dal campeggio. Il custode non arriva. Che fare? Si parte e poi manderemo un bonifico.
I borsoni laterali se non altro hanno il vantaggio che ci sta sempre tutto, anche se non ripieghi le cose perfettamente o se hai avanzato un panino o un pacco di biscotti. Provateci voi con i vostri borselli da gravel a tirare fuori il giubbino anti pioggia quando sei stanco, infreddolito, hai le mani congelate e hai ficcato dentro tutta la roba compressa all’inverosimile che la zip non si apre neanche con le bombe.
Da fiero ambasciatore della scuola “borsoni e portapacchi”, lo ribadisco, non sono ancora pronto per i nuovi “frames” da telaio e forcelle e mi crogiolo nelle mie critiche da ottuso conservatore.
E non me ne frega niente se voi fate le “divide” da 500 chilometri tutti d’un fiato … io procedo a tappe, prendo appunti, cucino zuppe, vado piano, scruto l’orizzonte.
Il magico Mont Ventoux illuminato dal sole domina i panorami della Vaucluse.
Oggi punto a sud-sud est per attraversare la parte settentrionale del Luberon, un angolo di Provenza dove l’aria è la più pura d’Europa tra pendii, terre rosse dalle calde tonalità, campi di lavanda che si perdono all’orizzonte, distese di erbe aromatiche, castelli incantati e villaggi arroccati. Un paesaggio da cartolina che per varietà, colori e sensazioni rende il Luberon il triangolo rappresentativo di tutta la Provenza.
Per arrivarci affronto la incredibile e spettacolare rotabile delle Gorges de la Nesque, la D942: 25 chilometri indimenticabili, tra gole, incisioni, belvedere, gallerie, falesie sempre sul ciglio del canyon.
Altro waypoint di questo viaggio messo a curriculum.
In veloce discesa verso il villaggio medievale di Monieux dopo una breve sosta al Bellevue di Castellane, gpm di mattinata, imbocco la D96, una stradina minore che risale, a tratti ripida, tra castelli e masi, fino a intersecare la strada che da Sault porta a Saint Saturnin les Apt. È l’ingresso settentrione al parco naturale del Luberon, patrimonio naturalistico dell’umanità.
Di buon passo, facendo elastico con dei ciclisti olandesi che salgono liberi da bagagli e fardelli, conquisto la cote de Jayon e scendo veloce tra morbide curve nell’ennesima giornata di sole che nemmeno a ordinarla con Amazon Prime te la spedivano così all’indirizzo desiderato.
Non serve indossare la mantellina: proseguo con la mia PH NZ merinos dal fit aderente, che trasmette una piacevole sensazione di calore in modo naturale e, grazie alla membrana Gravity® è in grado di proteggere dal vento e dall’acqua mantenendo alta traspirabilità.
Marchetta non condizionata numero ?
Ritrovata temporaneamente la pianura, giungo al Colorado di Provenza, rocce e terre rosse, guglie e speroni … te la dò io l’America!
Oggi, e ogni giorno di più, sembra estate.
Risalendo la foret de la Plan da Rustel approfitto di un praticello assolato per un picnic en plein air con contestuale asciugatura della tenda. Temperatura percepita 20°C, entusiasmo alle stelle a mitigare la percezione della fatica.Un lungo rettifilo tra campi di lavanda a riposo conduce a Simiane La Rotonde, appollaiata su colline rotondeggianti e dominata dal suo castello.
Una “préssion” bionda al bistrò Le Chapelle Rouge, piuttosto affollato all’esterno nonostante il “couvrefeu”.
Addento un panino raffermo al formaggio selezionato tra le mie scorte personali e poi via per la D18, una stradina stretta stretta tra boschi, fiumiciattoli, abbazie, cascine e pascoli.
Alta Provenza in arrivo.
Piccoli gruppi famigliari di cicloescursionisti spuntano a destra e manca.
Nel frattempo arrivo a Fourcalquier, cittadina con tutti i servizi e un po’ di vita reale. “C’è troppa gente in giro!”
Discesone su statale 4100 verso la piana della Durance. Altro guado di fiume su betume.
Sosta, spesa e solo-briefing a Oraison. Dove vado a dormire stasera?
Dopo attento studio delle mappe, valutazione delle forze residue e forzato abbandono dell’itinerario originalmente pensato a causa della chiusura del Col de la Lombarde, opto per dirigermi verso Digne les Bains, via obbligata per accedere all’unico valico per l’Italia sicuramente aperto e praticabile: il Col de Larche.
Affronto l’inedito e sconosciuto col de Plumichel (D12) posizionato a 814 mslm. Una salita di 10,7 km dalle facili pendenze.
Immerso nel verde della campagna, risale il lungofiume, con pochi tornanti fino all’abitato di Plumichel. Case di pietra, spopolamento totalissimo ma una provvidenziale fontana. Il fondo stradale si fa di brecciolino … terreno perfetto per la mia Slate.
Scollinamento baciato dal sole e giù in discesa alla ricerca del luogo ideale dove accamparsi.
Una lunga picchiata al termine di una tappa memorabile.
Nessun acciacco. Collo e schiena perfetti. Merito della posizione in sella e del confort della mia Gravel ammortizzata, ma anche della maglia NZ dal colletto lievemente rialzato che ripara dal freddo la cervicale anche con le mani in posizione bassa sul manubrio. E io sono sempre a testa bassa…
La foga in downhill mi porta ad abbassarmi troppo di quota fino a lambire l’abitato di Malijai.
Una stradina secondaria, lungo il fiume Bléone, va in direzione Digne les Bains. Modalità campeggio libero attivata. Infilo un breve sterrato che, superato un campo fresco di aratura, mi conduce in uno spiazzo ideale per posizionare la tendina: luogo riparato, isolato e con approvvigionamento di legna secca facile da ardere.
E così stasera mi godo anche la compagnia del fuoco acceso, oltre all’immancabile zuppa calda.
Oggi il convento passa minestra di farro e verdure, pane, formaggio, snack dolci e salati. Per finire una birra in lattina da 50 cc bella fresca grazie alle temperature serali in brusco abbassamento.
Al caldo nel sacco a pelo annoto striminziti pensieri, sbircio la mappa per memorizzare l’itinerario di domani e facile mi è il meritato riposo.
Amore è … accendere un fuoco e risvegliarsi con i vestiti che odorano di legna bruciata.
Stage 4 domenica 18 ottobre
Malijai-Vinadio CN ITALIA
km 170k d+ 2400
E i francesi ci rispettano
Che le balle ancora gli girano
E tu mi fai, dobbiamo andare al cine
E vai al cine, vacci tu
Oggi tappone di montagna transfrontaliero che segna il mio rientro in Italia passando per il Col de Larche.
Sveglia sfidando il crepuscolo per anticipare un po’ la partenza.
Alle 8 sono già in bici … brrrr … stamattina siamo vicini allo zero.
Ben protetto nel mio guscio giungo al Lidl di Digne les Bains per le 8 e 30, giusto in tempo per l’apertura domenicale e una spesa veloce tra gli scaffali deserti.
Acquisto viveri solidi e liquidi per consentirmi totale autonomia da qui a sera. Così da dover fermarmi solo per fare acqua alle (poche) fontane sulla strada.
L’ìtinerario prevede nella prima parte di percorrere la D900A, seguendo l’itinerario cicloturistico delle Clue de Barles. Strada di montagna che risale la vallata del fiume Le Blè con il suo parco geologico di Alta Provenza. ndenze mai proibitive e spettacolari gole e falesie dominate da guglie e vette over 2000, tra cui spicca il Blayeul. Rocce, falesie, pietre trasformate dall’erosione come il Velodrome.
Il passaggio al Clue de Pérourel è qualcosa di semplicemente pazzesco.
Prodigo di foto, avanzo regolare su questo entusiasmante percorso alternativo, che ad ogni chilometro si rivela più spettacolare e panoramico di ogni previsione.
Vengo sfilato da alcuni cicloturisti domenicali, Patrice prima ed Emanuel dopo, cui scucio importanti informazioni sullo stato delle strade e le difficoltà altimetriche delle ascese possibili e impossibili.
Dopo un iniziale approccio battagliero, che prevedeva il confronto con il Col du Farget (1489m), via più breve (5 Km in meno) ma con 200 m di dislivello in più e pendenze over 12%, giunto a Verdache, cambio repentinamente idea optando per il più mansueto Col de Maures (1349m) e percorrendo così la Viapac (via per l’arte contemporanea), un percorso turistico transfrontaliero tra Alta Provenza e Basso Piemonte.
Sono comunque costretto a un poderoso fuori giri per sfuggire all’inseguimento di due enormi cani da guardiania allo stato brado. Recuperato dalla svalvolata in zona 5, scorro sulla D900 in assenza di traffico domenicale. Il lockdown annunciato da Macron blocca le gite fuori porta dei nizzardi imbruttiti.
Prendo sempre più confidenza e fiducia sul fatto di riuscire a stare nei tempi paventati per svalicare in Italia e scendere a valle senza fare notte fonda.
A Seyne, dove piombo in picchiata, affronto la variante sulla D207 per il col de Saint Jean. Un primo chilometro duro, cui seguono asperità dolci e vallonate in un paesaggio meraviglioso di media montagna, dove il verde prevale ancora sui colori dell’autunno.
Al colle giungo intorno alle 13, in tempo per una videochiamata a casa mentre stendo per l’ennesima volta la tenda ad asciugare, addento qualcosa e mi preparo un caffè caldo con il mio fornelletto a propano.
A milletrecento metri il sole scalda e rende indimenticabili questi 20 minuti di sosta.
Si torna sulle strade principali, ma si viaggia che è un piacere.
In direzione di Barcellonette, prima, e Jausiers poi, si incrociano le strade che salgono colli epici … Allos, Cayolle, Bonnette … già meta di passati viaggi in bici e dunque non opzionabili.
Le gambe girano. Mangiucchio barrette e snack di cui sono ben approvvigionato. Faccio acqua in un bagno pubblico piuttosto “puteolento” per portarmi di buona lena fino all’inizio della lunga salita finale. Col de Larche (o Colle della Maddalena a seconda della nazionalità). Vi arrivo piuttosto allegro e con gambe piene. Miracoli che capitano ancora, seppur raramente.
17 km e 800+, i km segnati con la pendenza media. Tutto quello che serve al ciclista per impostare il miglior ritmo. Un po’ per il sole, un po’ per le sensazioni positive e il mai assopito entusiasmo di scalatore, trovo la “montèe” piacevole al pari di ben più suggestive erte alpine.
Anche con 20 kg e più di carico, le pendenze fino al 7/8% risultano comunque abbordabili e con i giusti rapporti si sale regolari e con pedalata rotonda. Oltre bisogna metterci un po’ di “cazzimma” e avere una buona tenuta fisica e molta pazienza, perchè salire a 6 kmh dove saliresti almeno a 15/16 kmh può farti spazientire.
Nei primi chilometri spezzo il ritmo fermandomi a scattare foto e raccogliere alcune selci ricordo dal bordo strada. Mangiucchio regolarmente svisando tra i diversi snack che emergono dalla capienza maggiorata delle tre tasche posteriori dal taglio a scalare della maglia NZ in lana merinos di PH (marchette di ritorno): mini bounty, snack Lidl al cioccolato, barretta Watt+ all’albicocca, gel all’arancia o lemon cola. Cosa chiedere di più alla mia dispensa viaggiante di leccornie energetiche?
Superato l’abitato di Larche, le nuvole coprono definitivamente il sole e un forte e gelido vento contrario inizia a soffiare imperituro. L’arrampicata ciclistica diviene ora severa.
Siamo nel cuore dell’Ubaye ai confini settentrionali del Parco del Mercantour.
Ben coperto e indossando ora anche i guanti percorro gli ultimi tornanti in ambiente decisamente alpino.
Per gli ultimi 5 km mi concedo una Orangina, bibita francese di cui ricordo gli spot in tivù a cavallo tra gli anni ottanta e novanta e che ho reperito stamane al Lidl. Dunque me la sono portata sin qui. Fresca e gustosissima, con quei 33 gr di carboidrati semplici che mi garantiscono un finale in spinta e uno scollinamento più veloce del previsto.
In un’atmosfera di solitudine e confinamento, procedo alla vestizione in assetto grande freddo. Indosso copripantaloni e down jacket in “primaloft” e immortalo la cima Coppi in un selfie al cartello con i 1996 metri del passo. Discesa al calduccio pennellando il serpente d’asfalto del versante italiano e rilanciando nei drittoni per anticipare il buio che incombe.
Luci posteriori accese e da lì a poco anche anteriori. Alle 19, ben oltre il crepuscolo, giungo a Vinadio e qui mi fermo. Per oggi la bicicletta non si usa più.
Sulla destra un’area sosta per camper con un bel praticello, poco più avanti la piazzetta del paese con bar e osterie.
Base vita alla trattoria Genzianella, nel frattempo frequentata da un paio di giovani avventori ubriachi con uso improprio della mascherina. Prendo appunti, ordino una birra media, sgranocchio patatine e chiamo l’amico Giuliano, maitre chocolatier cuneese, che a breve mi raggiungerà per una romantica cenetta a due. Allerto così l’incredulo oste sul fatto che per le 20 e 30 avrà ben due coperti.
Distanziamento e zero assembramenti nell’ameno locale vinadiese.
Deciderò più tardi se installarmi qui con la tenda qui o sfruttare l’ospitalità sul sofà dell’amico con trasporto bici annesso. Cena a menu fisso, senza troppa fantasia. Ma ci sta.
E alla fine ho dormito a Fossano, non prima di aver fatto visita alla fabbrica “Tuttocioccolato” Melishop facendo manbassa dei più buoni cioccolatini del mondo. Altra marchetta? … choco to ride!
Intanto Dalle Cevenne alle Alpi portato a casa.
Domani capirò quando, se e come arriverò al lago di Garda.
Stage 5 – lunedì 19 ottobre
Fossano-Pavia km 187 d+ 1100
Peschiera-Garda km 17 d+ 80
Lunedì mattina. Risveglio sul sofà di casa Melis dopo una notte tribolata … la cipolla cruda e il vino rosso hanno reso il mio intestino un ribollir di tini … mal di testa da cattiva qualità del sonno e recriminazioni varie sul fatto di aver sbevazzato un po’ troppo. Non imparo mai. Vita da atleta che?
Colazione frugale, baci e abbracci simbolici e si riparte.
Cielo grigio e strade di campagna per avvicinarmi al cuore delle Langhe.
Il sole al di là delle Alpi è purtroppo un lontano ricordo. Così come i bordo strada immacolati e senza rifiuti di ogni genere. Sgrunt doppio Sgrunt!
Pedalo lentamente uscendo dal traffico cittadino di un tranquillo giorno lavorativo, senza forzare e cercando di ritrovare il buon umore e le sensazioni positive dei giorni precedenti.
Un lieve torpore mi avvolge. Sosta al bar per un caffè addizionale.
Barman brillantissimo mi prepara anche un panino con bresaola e formaggio di prima mattina.
Il solo macinare km da mettere in archivio non è abbastanza. Avrei forse dovuto “studiare” le carte almeno quanto ho fatto per la zona francese. Sono riuscito a destreggiarmi bene, ma vista l’alta antropizzazione urbana e industriale della pianura padana, avrei fatto meglio a informarmi su itinerari ciclabili lungo fiume o in attraversamento di parchi che forse mi avrebbero aiutato a trovare motivazioni e soddisfazioni migliori nei quattrocento chilometri italiani, non pochi, e attenuare la tendenza allo scazzo e alla puzza sotto il naso del viaggiatore di esperienza di inclinazione sciovinista francese.
Le colline delle Langhe appaiono all’orizzonte con i vigneti ordinati e i filari verticali. Centellino le forze e cerco di far girare le gambe sprecando meno energia possibile. Incontro al volo con altra vecchia conoscenza piemontese alla fabbrica Sebaste, da 130 anni produttrice del torrone con le nocciole più buono del mondo. Con Gianluca un concentrato di chiacchiere, sguardi e ricordi di circa un quarto d’ora per poi ripartire e vedere dove mi porteranno le gambe.
Langhe Roaro Monferrato … un susseguirsi di cantine. Certo che in questo viaggio sono passato da tutti i produttori di vini più pregiati.
Alterno strade piacevoli a statali anonime.
A Nizza Monferrato identifico un nuovo percorso tra argini e fiumi, puntando in direzione Pavia. Il richiamo di casa è forte, ma anche quello di un’ultima notte en plein air, purchè in contesto adeguato ai miei elevatissimi standard di wilderness.
L’attraversamento di Alessandria è piuttosto agevole e mi consente di accedere al bellissimo parco del fiume Tanaro, che mi restituisce spinta e voglia di pedalare. Per desolate e pianeggianti stradine di campagna mi innesto sul lungo Po’.
Finalmente un po’ di strade bianche terreno ideale per la mia gravel anche in versione slick.
Il sole già dal primo pomeriggio è tornato a baciare questo viaggio.
Punto verso il parco del Ticino alla disperata ricerca di un luogo propizio al campeggio libero. La campagna tra Po’ e Ticino non è il massimo, stante la presenza di poli industriali e traffico commerciale. Spesa al discount per essere pronto a tutto.
Puntavo a un wild camp nel parco del ticino a nord di Pavia ma poi ho avvertito quel senso di forzatura e ho puntato alla stazione dei treni. Fine della storia. Con 187 km in saccoccia.
A luci accese mi fiondo in stazione, acquisto biglietto e supplemento (biglietto bici 24 Ore, €3,50), riuscendo a salire sull’interregionale delle 19.03 per fortuna in ritardo di quei proverbiali cinque minuti che mi hanno risparmiato quasi due ore di noiosa attesa.
Alle 22 circa, dopo il cambio alla stazione di Milano, sono di nuovo in sella alla mia Slate per la crono finale Peschiera-Garda.
17 km e 100+ che, dopo un primo km passato a capire l’abbigliamento giusto e accendere tutti i dispositivi di illuminazione in mio possesso, affronto a tutta spingendo i lunghissimi rapporti.
In 40 minuti raggiungo casa. Il luogo degli affetti. Parcheggio la bici nel soggiorno, abbraccio la mia Monica e avverto la solita sensazione di felicità per i ritrovati affetti, mista a nostalgia per i luoghi attraversati e rimpianti per quelli che non ho voluto⁄potuto visitare.
Non si può avere tutto, accontentiamoci di avere una casa dove tornare.
I bimbi dormono e domani avranno il loro papà a sorpresa.
CLOSING TIME – Epilogo
Mi sembra di essere stato via da casa per sei mesi. Invece sono stati “solo” sei giorni, fatti di un lungo trasferimento e cinque tappe fantastiche. Anche grazie all’alta pressione che mi ha garantito sole e cielo azzurro per il 99% del tempo in movimento. Si chiama fattore culo.
Il ritorno. Ora godiamoci il focolare e restiamocene a casa (per scelta o per forza) e vediamo di superare i prossimi mesi che si annunciano non meno limitati in termini di movimenti transfrontalieri almeno quanto il 2020.
Sono mancate le grandi montagne e i colli over 2000, ma era già messo in conto.
Tuttavia annovero questa DCaA come la più bella ciclovacanza degli ultimi anni, almeno per quello che è il mio “gusto” decisamente europeo e pedemontano. Si vede che comincio a invecchiare, apprezzo sempre e solo le ultime cose che faccio.
Questa esperienza, a dirla tutta, anche come test di verifica in vista del progetto “Fuga da Capo Nord” (Escape from Northcape) traversata da Nord a Sud della Norvegia, che mi riprometto di svolgere tra maggio e giugno 2021, Covid, famiglia, paure, condizione fisica permettendo. Una montagna di buoni progetti da realizzare … vedremo di affrontarli, uno alla volta, come si spicca l’acino dal grappolo maturo!
Lo ammetto, mi diverto più a pensarli e disegnarli, che a percorrerli. O meglio, quando li pedalo sono sempre in preda a mille dubbi: mi manca ancora quella innata capacità di immergersi totalmente nel viaggio dimenticandosi di quello che hai a casa.
Si chiama home sickness o più semplicemente il richiamo della famiglia.
Sinceramente sarei più scocciato dal fatto di dimenticarmi della famiglia che da quello di non essere sempre “brillante” e “allegro” quando pedalo da solo.
I pensieri e i tormenti fanno parte della mia fortunata esistenza, e lo devo accettare. Sono fatto così a fasi alterne tra slanci e cadute. Resta sempre la voglia di rialzarsi, e di continuare la ricerca della strada della felicità, che poi, è quella che porta a casa, se ce l’hai. La casa è la mia fuga. E anche questa volta ho trovato il modo di autogiustificarmi, autoassolvermi e di sostenere, a torto o a ragione, che ho diritto a una ennesima ciclovacanza nel futuro prossimo … nel nome del padre, del figlio e dello spirito santo. Amen!
Per quanto la mia gestione #ditipo1 questa volta, DAVVERO, non commento e lascio parlare i numeri dello specchietto che ritengo davvero più che esaustivo. Se proprio proprio non vi sono chiari alcuni aspetti, preparatevi domande e interrogazioni ben circostanziate e contattatemi: se sono di buon umore posso riuscire anche a ben argomentare. Bacetti a tutti.